Gentile Direttore, è passato quasi un mese da quando il Governo ha varato il Decreto Rilancio, ma in termini pratici non si vedono risultati per il terzo settore. L’emergenza che viviamo impone sicuramente attenzione a numerosi aspetti poiché tante sono le criticità da affrontare eppure non credo sia possibile dimenticare una parte importante del Paese che, sin dai primi momenti della pandemia, ha offerto la propria opera gratuita per contenere e gestire le difficoltà.

Nelle conferenze stampa di ogni ordine e grado abbiamo ascoltato lodi continue alla grande attività del terzo settore eppure fino al “decreto rilancio”, come ricordato continuamente da molti rispettabili esperti e rappresentanti del non profit, nessuna misura era stata prevista per sostenere fattivamente chi garantisce la coesione sociale. Ad oggi non si registrano particolari effetti concreti rispetto a quanto previsto dall’ultima azione governativa e soprattutto nessuna voce sembra levarsi per sostenere le ragioni delle realtà che non appartengono alle grandi reti associative e che non potranno godere – quando sarà possibile – del credito d’imposta e dei prestiti bancari.

Si tratta dei volontari e degli operatori che a proprie spese hanno provveduto a comprare DPI, mettere in sicurezza aree, accompagnare anziani ed ammalati ai controlli medici, distribuire pacchi alimentari e che, in sostanza, hanno garantito ai Comuni ed alle istituzioni la possibilità di dare continuità a molti servizi ed attività rischiando anche di contagiarsi.

Queste persone hanno evidenziato con le loro azioni quanto sia concreto e fondamentale il principio di sussidiarietà e quanto il patrimonio di solidarietà ed esperienze di cui sono custodi sia una colonna portante per l’Italia di oggi e quella di domani. Ora la crisi aggredisce anche i loro enti che rischiano seriamente di scomparire.

Non un segnale, non un gesto concreto è stato compiuto fino a questo momento eppure dai contributi per l’affitto delle sedi e le loro sanificazioni, ai rimborsi per l’assicurazione dei volontari e le spese sostenute nel contenimento del contagio sarebbero molte le problematiche sulle quali poter intervenire. Il non profit crea valore sociale ed umano che non è fine a sé stesso e questo è ancora più evidente nelle migliaia di esperienze di periferia delle piccole e grandi città dove le attività ed i progetti sono spesso autofinanziate totalmente senza alcun supporto.

Naturalmente questa disattenzione non è solo del Governo, anche le regioni non sono da meno e la Campania su questo non fa eccezione nonostante vanti una grande tradizione del non profit che negli ultimi anni l’ha proiettata tra i territori in cui è cresciuta maggiormente la presenza del terzo settore.

Proprio in Campania ed in tutto il Sud dovremmo iniziare a valutarlo maggiormente e nella giusta modalità il ruolo del non profit iniziando a considerarlo come uno dei pilastri sui quali costruire un futuro diverso per le comunità. Tale rivoluzione copernicana potrà compiersi solo se le classi dirigenti saranno in grado di abbandonare le torri d’avorio per affrontare il reale.
Ricordarsi concretamente di volontari, operatori ed i loro enti del terzo settore potrebbe essere un primo passo significativo.


Pubblicato su: Il Riformista