“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive” - F.Dostoevskij

Categoria: Salute

Agenda 2030, COVID19 e malattie non trasmissibili: rischi e ritardi

La pandemia ha generato brusche frenate sulla strada del raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030. Tra i diversi percorsi che hanno subito interruzioni significative non è possibile dimenticare quello relativo all’obiettivo 3 “Salute e Benessere”.

Si susseguono ormai da mesi report che tracciano numeri impressionanti sulla difficoltà di accesso alle cure da parte di pazienti affetti dalle cosiddette malattie non trasmissibili (diabete, malattie cardiovascolari, tumori e affezioni polmonari) e non mancano gli appelli affinché si adottino nuovi modelli per la gestione delle cure da parte di tantissime associazioni di medici e pazienti.

La pandemia non ha modificato e influenzato negativamente soltanto i percorsi e le possibilità di sottoporsi alle terapie, gli stessi cittadini, infatti, evitano gli accessi alle strutture ospedaliere ed ai pronto soccorso colpiti dalla paura di rischiare il contagio e ammalarsi di COVID-19.

Un elevato impatto negativo si è avuto di anche sulla prevenzione medica delle patologie non trasmissibili (non si dimentichi che esse sono la prima causa di morte al mondo e quanto il virus tenda a colpire più gravemente le persone affette da queste malattie) e questo non lascia ben sperare per il futuro, in considerazione del fatto che la pandemia produce effetti negativi anche dal punto di vista economico acuendo le diseguaglianze sociali. Tali differenze, così come suffragato da numerosi studi e dall’esperienza quotidiana, si manifestano con vigore nell’accesso alle cure da parte dei cittadini: coloro che vivono condizioni di disagio economico presentano maggiore difficoltà nell’accesso alle cure e alla pratica della prevenzione ed alla fruizione delle informazioni utili a tutelare la propria salute.

Si rischia, ad ogni livello ed in ogni Paese, di veder venire meno i progressi fatti fino a questo momento nella tutela del diritto alla salute ed per questo motivo che, trascorsi questi primi otto mesi dallo scoppio della più grande emergenza sanitaria globale mai affrontata, si cominci a ragionare su come garantire a tutti i cittadini la possibilità di avere accesso, in sicurezza e costantemente, a percorsi diagnostici e terapeutici per le loro patologie.

In Italia si potrebbe iniziare ad affrontare il problema raccogliendo gli appelli ed i suggerimenti avanzati  dall’Associazione nazionale Malati Reumatici (Anmar Onlus),  l’Associazione di Iniziativa Parlamentare e Legislativa per la Salute e la Prevenzione, Fondazione Giovanni Lorenzini, Fondazione Italiana per il Cuore, Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell’Osso (Firmo), che hanno chiesto ad esempio alle istituzioni di avviare una strategia diversa e non prettamente emergenziale con l’attuazione piena delle disposizioni contenute nelle leggi 40/2020 e 77/2020  che prevedono la “distribuzione per conto” da parte delle farmacie dei territori dei farmaci generalmente disponibili solo presso le strutture pubbliche.

Occorre approfittare di questo momento per ridisegnare in modo efficace ed efficiente le strategie volte a garantire il diritto alla salute delle comunità.

Pubblicato su: Ricerca & Salute

Covid-19 e obiettivo “Salute” Agenda 2030: prospettive e rischi in Italia dopo il lockdown

Le Nazioni Unite, individuando gli obiettivi per affermare il paradigma dello sviluppo sostenibile entro il 2030, hanno dedicato ampia attenzione a “Salute e benessere” poiché l’accesso alle cure e la tutela di uno stato di buona salute per tutti è considerato tra i più importanti risultati da raggiungere entro la prossima decade.

L’Italia con il proprio sistema sanitario universalistico rappresenta da sempre per questo argomento un punto di riferimento, nonostante critiche, inefficienze e scandali che nel corso degli anni hanno, purtroppo, occupato le cronache dei giornali e attirato giudizi negativi dei cittadini.

Lo scoppio della pandemia e le attività di contenimento del contagio, prima fra tutte il lockdown, hanno avuto un grande impatto anche sul sistema sanitario, in particolare sulla sua organizzazione e sulle prestazioni garantite ai cittadini.

Senza voler ricordare ed approfondire quanto i medici e tutto il personale sanitario siano stati decisivi con il proprio operato ed ingegno lasciando sul campo anche numerose vite, occorrerebbe iniziare a verificare quali siano le condizioni dalle quali la sanità ripartirà in questa nuova fase dell’emergenza.

Il lockdown non ha bloccato solo le attività commerciali e sociali: sono migliaia le prestazioni mediche annullate o rinviate a causa di un’organizzazione non sempre pronta a gestire unitamente all’emergenza Covid-19 anche le attività ordinarie di assistenza, nonostante le grandi capacità dei medici e di tutto il personale del comparto sanità.

Come evidenziato da Repubblica ed altre autorevoli testate giornalistiche che hanno raccolto le testimonianze di alcuni dirigenti della sanità confrontandole con diverse indagini condotte nelle scorse settimane (una su tutte da Nomisma), in Italia sono saltati circa “500 mila interventi e 12 milioni di esami radiologici. Senza contare i milioni di cittadini che a causa del rischio Covid-19 hanno rinunciato o subito gli annullamenti dei controlli per le malattie non trasmissibili (NCDs – non communicable disease) che rappresentano da anni la prima causa di morte in Italia e nel mondo.

l’Istat ha, infatti, evidenziato nel suo ultimo rapporto sullo stato del cammino italiano verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile pubblicato il 14 maggio come la “maggior parte dei decessi avvengono per cause legate alle malattie cardiocircolatorie (35,8%), tumori maligni (26,3%), alle malattie del sistema respiratorio (8,2%)”. Sempre l’Istituto nazionale di statistica ha rimarcato come nel Mezzogiorno sia prevalente rispetto al Nord la mortalità per diabete, malattie cardiovascolari, cerebrovascolari ed ipertensive.

Alla luce di questi dati può risultare evidente come il coronavirus, nonostante la grande disponibilità  e capacità del personale,  possa aver colpito fortemente il sistema sanitario italiano rallentandone le prestazioni e la garanzia di accesso alle cure per tutti i cittadini.

Questo problema evidenzia come sia arrivato il tempo che, ai vari livelli istituzionali, i decisori politici inizino a pensare sul serio a come trasformare questa crisi in una grande opportunità per rilanciare un sistema sanitario in affanno e con evidenti disparità d’investimento e strutture tra il Nord ed il Sud dell’Italia.  Se, infatti, i vari decreti emanati dal Governo per affrontare la pandemia fanno registrare per ovvie ragioni una forte attenzione al “problema salute”, le misure adottate sembrano essere più di natura protezionistica e cautelativa che non di investimento e cambiamento. Sul tavolo, al momento, sono state avanzate alcune ipotesi soprattutto sull’organizzazione della medicina territoriale e sull’eventuale utilizzo del MES (fondo salva stati) per le spese dedicate alla sanità, ma ad ora non appaiono siano state intraprese strategie chiare.

Una situazione simile impone con urgenza un’assunzione di responsabilità in duplice veste:

  • politica, poiché sono necessarie prendere decisioni che abbiano risvolti non solo nell’immediato, ma anche nel futuro grazie all’attuazione di strategie ed investimenti per assunzioni, formazione, edilizia sanitaria, riduzione del gap strutturale e tecnologico tra le diverse aree del Paese;
  • organizzativa: il sistema sanitario deve avere linee guida chiare su come ripartire ed operare a pieno regime per recuperare il tempo perduto. Non è più il tempo di navigare a vista.

Con questi presupposti difficilmente si potranno effettuare grandi passi in avanti verso l’obiettivo (Goal 3) “Salute e Benessere” dell’Agenda 2030 e, nella speranza che non si verifichi una seconda ondata dell’epidemia, si corre il serio rischio di registrare a fine anno un notevole aumento di morti da malattie croniche e non trasmissibili.

Pubblicato su: Ricerca & Salute

Agenda 2030 e pandemia: incognite sul futuro dello sviluppo sostenibile

La crisi non sembra lasciare scampo ai modesti risultati raggiunti dal 2015 sulla strada dell’applicazione dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile. Questo è quanto si evince dalla relazione annuale ONU sui progressi compiuti in merito agli obiettivi di sviluppo sostenibile (Goals) e presentata proprio in questi giorni.

Il Segretario Generale Antonio Guterres ha manifestato seria preoccupazione invitando i governi ad effettuare scelte strategiche in grado di proteggere gli avanzamenti raggiunti prima dello scoppio della pandemia e, al contempo, trasformare la crisi in un’opportunità decisiva per l’attuazione di politiche che abbiano come fulcro lo sviluppo sostenibile.

L’attenzione degli Stati a causa del coronavirus è sicuramente cresciuta in merito ai temi della povertà, dell’accesso alle cure, del contrasto alla fame e anche alla tutela dell’ambiente, ma ciò è accaduto più come frutto di un riflesso istintivo piuttosto che in attuazione di una strategia.

Per questo motivo, registrando la brusca frenata dei miglioramenti e l’inversione negativa di tendenza rispetto ad alcuni “Goal” dell’Agenda 2030, si spera che aumenti la consapevolezza sul tema da parte dei decisori politici: il lockdown e la crisi globale hanno messo a serio rischio gli obiettivi che riguardano la parità di genere e il contrasto alla violenza domestica su donne e bambini, la lotta alla fame, la promozione di salute e benessere.

In questo clima di preoccupazione, unito alla grande minaccia di tensioni sociali, tra gli addetti ai lavori sembra suscitare grande fiducia la proposta “Next generation Eu” avanzata dalla Commissione europea.

Ursula van der Leyen e la sua squadra oltre a manifestare nelle proprie intenzioni e scelte una generale adesione all’Agenda 2030 hanno lanciato segnali positivi specialmente sui temi della promozione ed attuazione di politiche a favore della diffusione di energie pulite

Resta inteso che gli obiettivi ambiziosi per lo sviluppo sostenibile, un vero e proprio mutamento di paradigma delle nostre vite, non potranno essere raggiunti da un singolo stato o  dalla sola Europa, ma dovranno essere perseguiti attraverso un’azione quanto più sinergica di politiche comuni ispirate da strategie condivise da tutti i governi. Questo, naturalmente, non è semplice.

Se, infatti, proprio la Commissione europea ha rilanciato con la sua proposta il “Green new deal” allo stesso tempo con il recente “decreto rilancio” il Governo italiano non sembra aver preso provvedimenti ispirati chiaramente da tale strategia, pur avendo comunque tentato di porre un argine a problemi sociali ed economici lanciando anche timidi segnali di prospettiva su salute ed innovazione.

Come sempre la differenza  in senso positivo sarà fatta esclusivamente dalla capacità di fare sintesi e lavorare uniti.

Pubblicato su: Ricerca & Salute

Ripensare la sanità pubblica dopo il Covid19

Il ruolo svolto da tutte le figure professionali del settore sanitario si sono dimostrate di fondamentale importanza per un comparto che, nonostante i continui tagli, si dimostra ancora strategico e fondamentale nella vita dello Stato. In queste settimane i media hanno elogiato – giustamente – chi ha combattuto in prima linea la battaglia contro il nuovo coronavirus per salvare vite e trovare una cura che possa consentire il ritorno alla normalità. Figure che hanno pagato un prezzo molto alto e che si sono impegnati nei reparti e nei laboratori di tutta Italia, non dimentichiamo infatti che molti sono i medici impegnati anche nella ricerca scientifica.

Tuttavia, per fare in modo che le criticità emerse nelle riflessioni delle ultime settimane non restino lettera morta potrebbe essere utile programmare i prossimi investimenti nel settore ripartendo dal racconto di questi giorni e dai dati pubblicati dall’Istat nel report relativo all’occupazione nella sanità pubblica diffuso lo scorso 6 maggio.

L’Istituto di statistica nel rapporto ha evidenzia che dal 2009 al 2018 gli occupati a tempo indeterminato nella sanità pubblica si sono ridotti considerevolmente (ciò è imputabile anche ai numerosi piani di rientro attuati in molte Regioni): sono oltre 40 mila le unità in meno. Questa riduzione ha riguardato il 5,4% dei medici e solo quarto di essa è stata compensata dalla crescita registrata dal lavoro flessibile (circa il 26%). Altro dato evidenziato riguarda l’età media dei dipendenti a tempo indeterminato, pari a 52,3 anni per gli uomini e a 49,9 anni per le donne. Tra questi i dirigenti sono quelli che presentano l’età più alta (il 60,4% dei dirigenti medici ha più i 55 anni e il 38% supera i 60).

Anche dal punto di vista economico negli anni si è assistito a un progressivo svilimento della figura del medico: secondo i dati Istat la retribuzione del personale dirigente del comparto è più bassa rispetto a quello degli enti pubblici non economici, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Magistratura e delle Agenzie fiscali. Mentre per il personale non dirigente le retribuzioni sono in linea con il resto della PA.

Questi dati possono essere il punto di partenza per una serie di rflessioni su come affrontare alcune delle difficoltà logistico-operative della sanità oggi, specialmente laddove la capacità e la bravura di molti operatori e dirigenti non sono valorizzate per l’eccessivo carico di lavoro cui sono sottoposti e per i ritardi nel ricambio generazionale. Un rinnovamento che in alcuni casi potrebbe anche favorire un deciso scatto verso l’adeguamento tecnologico da troppo tempo rimandato in alcune aree del Paese.

Questa crisi potrebbe quindi essere il momento per ripensare la sanità e riprogrammare l’utilizzo delle risorse avviando un grande programma di rinnovamento umano e tecnologico e favorendo assunzioni e adeguamento degli stipendi per allinearli a quelli di altri enti pubblici.

Pubblicato su: Ricerca & Salute

Terzo settore ed istituzioni: una nuova stagione di collaborazione in nome del diritto alla Salute

Lo scorso dicembre, alla presenza del Ministro della Salute Roberto Speranza, veniva presentato a Roma, il “XXII Rapporto PiT Salute” realizzato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. Sembra passata un’era e nessuno poteva immaginare che all’orizzonte ci fosse la sfida più importante che il sistema sanitario e l’Italia dovessero affrontare dal dopo guerra ad oggi.

Il rapporto evidenzia come 1 cittadino su 3 presenti difficoltà nell’accesso alle cure e alle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale: nell’ambito di tale criticità il 32,2 % degli intervistati ha dichiarato che essa è legata ai costi ed alle condizioni di disagio economico, il 34,1% alle liste d’attesa per ottenere visite specialistiche (ritardi rilevanti si registrano anche nella fruizione di esami diagnostici come ecografie, risonanze magnetiche, ecodoppler ecc…). Non deve essere sottovalutato anche il dato che vede i cittadini lamentare una mancanza di corretta informazione nel 62,4% dei casi.

Un scenario così delineato al dicembre 2019 non può assolutamente farci dormire sogni tranquilli nel progettare l’Italia post-Covid19, ma deve assolutamente spingere coloro i quali sono impegnati a vario titolo nel fondamentale “territorio” del diritto alla salute ad alzare la guardia e pianificare strategie utili a rispondere all’aumentata richiesta di cure che si alzerà da fasce di popolazione sempre più colpite dal disagio economico sia dal punto di vista dell’accesso ai servizi sia dalla diffusione di corrette e semplici informazioni.

Lo studio quindi, nonostante i tanti cambiamenti allo stile di vita che seguiranno l’epidemia, non perde la sua attualità e offre alcuni spunti da cui partire per immaginare il ruolo importante che le associazioni operanti nel settore salute possano avere nel prossimo futuro.

Riguardo la diffusione di corrette informazioni le associazioni e gli enti del terzo settore potranno svolgere un importante ed utilissimo ruolo poiché anche in questo momento, in molti casi, colmano la distanza tra istituzioni sanitarie e cittadini riuscendo a raggiungere attraverso le reti di contatti e dei legami territoriali le fasce della popolazione più colpite da condizioni di disagio sociale ed economico.

Nell’Italia post epidemia da coronavirus, purtroppo probabilmente più povera, potranno e dovranno essere protagoniste tutte quelle realtà del terzo settore impegnate nel portare l’accesso alla “salute” in direzione dei cittadini offrendo consulti, visite e prestazioni mediche gratuite nelle piazze e tramite ambulatori e sportelli di medicina solidale. L’aggravarsi delle condizioni di disagio economico chiama quindi ad un ulteriore impegno ed assunzione di consapevolezza gli enti citati che potranno essere fondamentali per supportare non solo il Servizio Sanitario Nazionale, ma l’intero sistema del welfare nel reggere l’urto dei nuovi bisogni che arriveranno e gestire eventuali emergenze. In una tale ottica dovranno diventare ancora di più centrali i programmi dedicati alla prevenzione e alla promozione dei corretti stili di vita.

La stagione alle porte offrirà buoni risultati in questo senso se gli enti del terzo settore riusciranno a vivere il proprio ruolo raccordandosi con le istituzioni e rafforzando le reti: la speranza è che siano pienamente attuate la co-programmazione e la co-progettazione previste dal Codice del terzo settore con l’obiettivo di far collaborare  enti pubblici ed enti non profit per la realizzazione di attività rientranti nei settori di attività di interesse generale (che quindi non presuppongono interessi diversi e contrapposti). La salute è una di queste.

Programmando ed individuando strategie comuni con attività mirate alla soddisfazione delle diverse esigenze emergenti dai singoli territori sarà possibile offrire valide risposte ai tanti cittadini che si ritroveranno ad affrontare le difficoltà di accesso alle cure. Le iniziative ed i progetti risentiranno delle indicazioni di distanziamento sociale che saremo, probabilmente, costretti a seguire nei prossimi mesi, ma il dopo coronavirus può rappresentare un nuovo punto di partenza nella costruzione di una comunità più partecipe e collaborativa.

Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: Campus Salute in prima linea

Uno degli obiettivi indicati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età” e sicuramente tale scopo è uno dei più avvincenti da perseguire.

Come ogni risultato importante anche questo potrà essere il frutto di un lavoro sinergico tra le diverse forme di aggregazione territoriale e rappresentanza istituzionale che animano le comunità: dalla più piccola alla più estesa. Questa consapevolezza è un necessario punto di partenza, soprattutto, quando si sono fissati obiettivi così ambiziosi che riguardano il genere umano e il pianeta nel suo complesso.

Le associazioni possono e devono svolgere un importante lavoro di raccordo tra le istituzioni e gli organismi nazionali e sovranazionali che si dedicano della realizzazione delle attività utili al raggiungimento degli obiettivi indicati dall’Agenda 2030. Molti cittadini ignorano il documento e la strategia elaborata dalle Nazioni Unite e diventa così difficile il loro coinvolgimento diretto nelle azioni concrete che possono, giorno dopo giorno, avvicinarci al perseguimento dei risultati auspicati.

Le associazioni e tutti gli enti del terzo settore in generale, grazie alla loro presenza capillare nelle comunità, del loro dialogo costante con le istituzioni e delle proprie numerose attività quotidiane possono davvero incidere e recitare un ruolo fondamentale per la realizzazione dell’Agenda 2030 e del coinvolgimento attivo delle persone.

Campus Salute Onlus è impegnata da anni nella diffusione della cultura della prevenzione in modo da far crescere nella comunità la consapevolezza del valore dei corretti stili di vita e, soprattutto, di come lo stato di buona salute sia il frutto dell’applicazione di pochi, ma fondamentali principi di cautela ed attenzione volte a tutelarci dall’insorgere di numerose patologie. Il valore simbolico, ma anche pratico avendo non di rado contribuito ad aiutare numerose persone ad accorgersi di seri rischi in corso per la propria salute, della proposta a migliaia di cittadini di controlli medici gratuiti, di momenti di formazione ed informazione, di campagne per la salute maschile e femminile, il dialogo costante col mondo della ricerca, l’impegno per il contrasto all’obesità ed il consumo nocivo di alcol, rappresentano solo alcune delle attività che collocano l’associazione in linea con lo spirito auspicato dalle Nazioni Unite. Non si deve dimenticare l’impegno a lavorare in sinergia con le istituzioni e le tante realtà dei territori incontrate nel corso di un decennio, così come risulta impossibile ignorare il coinvolgimento fondamentale di tanti volontari (soprattutto giovani) appartenenti non solo al mondo della medicina, ma provenienti da diversi percorsi formativi, culturali e sociali.

Da settembre 2019 l’impegno per il perseguimento degli obiettivi indicati dall’Agenda 2030 è diventato “ufficiale” essendo Campus Salute ONLUS una dei partner ufficiali della Cattedra Unesco dell’Università Federico II di Napoli “Educazione alla salute ed allo sviluppo sostenibile” diretta dalla Prof.ssa Annamaria Colao: sono già diversi i progetti che vedono affinare le metodologie per favorire l’attuazione di azioni di contrasto all’obesità, di prevenzione delle malattie infettive – specialmente del virus dell’HIV tra gli adolescenti – e della diffusione della medicina di genere.

Gli obiettivi sono ambiziosi e Campus Salute è una delle tante importanti associazioni che possono lavorare e fare rete, ma come si suol dire “ogni lungo viaggio comincia con il primo passo” e la sfida da vincere nella prossima decade entra ora nel vivo, può essere utile conoscere (direttamente dal sito internet delle Nazioni Unite)  un po’ più da vicino le considerazioni alla base dell’obiettivo 3 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età”:

Per raggiungere lo sviluppo sostenibile è fondamentale garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età. Sono stati fatti grandi progressi per quanto riguarda l’aumento dell’aspettativa di vita e la riduzione di alcune delle cause di morte più comuni legate alla mortalità infantile e materna. Sono stati compiuti significativi progressi nell’accesso all’acqua pulita e all’igiene, nella riduzione della malaria, della tubercolosi, della poliomielite e della diffusione dell’HIV/AIDS. Nonostante ciò, sono necessari molti altri sforzi per sradicare completamente un’ampia varietà di malattie e affrontare numerose e diverse questioni relative alla salute, siano esse recenti o persistenti nel tempo.

Fatti e cifre

  1. Salute infantile
  • Ogni giorno muoiono 17.000 bambini in meno rispetto al 1990; tuttavia, ogni anno continuano a morire più di sei milioni di bambini prima del compimento del quinto anno d’età
  • Dal 2000, i vaccini contro il morbillo hanno prevenuto quasi 15,6 milioni di morti.
  • Nonostante decisi progressi a livello globale, una porzione crescente delle morti infantili avviene in Africa subsahariana e nell’Asia meridionale. Quattro su cinque morti infantili avvengono in queste regioni
  • I bambini nati in situazioni di povertà hanno quasi il doppio delle probabilità di morire prima del compimento del quinto anno d’età rispetto ai bambini nati nelle famiglie più ricche
  • I figli di madri istruite – anche di coloro che hanno completato soltanto la scuola primaria – hanno più probabilità di sopravvivere rispetto ai figli di madri senza alcuna istruzione.
  1. Salute materna
  • La mortalità materna si è ridotta di quasi il 50% dal 1990
  • In Asia orientale, nel Nordafrica e nell’Asia meridionale, la mortalità materna si è ridotta di circa due terzi
  • Tuttavia, il tasso di mortalità materna – ovvero la proporzione di madri che non sopravvivono al parto rispetto alle madri che invece sopravvivono – nelle regioni in via di sviluppo è ancora oggi 14 volte maggiore rispetto al tasso di mortalità materna delle regioni sviluppate
  • Un numero maggiore di donne sta ricevendo assistenza prenatale. Nelle zone in via di sviluppo, l’assistenza prenatale è aumentata dal 65% nel 1990 all’83% nel 2012
  • Solo la metà delle donne che vivono nelle zone in via di sviluppo riceve la quantità raccomandata di assistenza medica di cui ha bisogno
  • Sempre meno adolescenti hanno figli nella maggior parte delle regioni in via sviluppo, ma i progressi hanno conosciuto un rallentamento. Il grande incremento nell’uso dei metodi anticoncezionali che ha caratterizzato gli anni ’90 non è stato replicato nella prima decade del 2000
  • Lentamente, la richiesta di pianificazione familiare viene soddisfatta per un numero crescente di donne, ma la domanda sta aumentando rapidamente.
  1. HIV/AIDS, malaria e altre malattie
  • Alla fine del 2014, 13,6 milioni di persone avevano accesso a terapie antiretrovirali
  • Nel 2013 sono esplose 2,1 milioni di nuove infezioni da HIV, il 38% in meno rispetto al 2001
  • Alla fine del 2013, 35 milioni di persone vivevano con il virus dell’HIV
  • Nello stesso anno, 240.000 bambini sono stati infettati dal virus dell’HIV
  • Le nuove infezioni da HIV tra i bambini sono diminuite del 58% dal 2001
  • A livello mondiale, gli adolescenti e le giovani donne sono vittime di disuguaglianze, esclusione, discriminazione e violenza per motivi di genere, il che li espone ad un maggior rischio di contrarre l’HIV
  • L’HIV è la causa principale di morte tra le donne in età riproduttiva in tutto il mondo
  • Le morti da tubercolosi tra le persone che vivono con il virus dell’HIV è diminuita del 36% dal 2004
  • Nel 2013 si sono registrate 250.000 nuove infezioni da HIV tra gli adolescenti, due terzi delle quali hanno colpito le ragazze
  • L’AIDS è oggi la principale causa di morte tra gli adolescenti (dai 10 ai 19 anni) in Africa e la seconda causa più comune di morte tra gli adolescenti a livello mondiale
  • In molti luoghi, non viene rispettato il diritto delle adolescenti all’intimità e all’autonomia del proprio corpo; molte dichiarano che la loro prima esperienza sessuale è stata forzata
  • Nel 2013, 2,1 milioni di adolescenti vivevano con il virus dell’HIV
  • Tra il 2000 e il 2015, sono state evitate più di 6,2 milioni di morti per malaria, principalmente in bambini con età inferiore ai 5 anni in Africa subsahariana. Il tasso globale di incidenza della malaria si è ridotto del 37% e il tasso di mortalità del 58%
  • Tra il 2000 e il 2013 gli interventi di prevenzione, di diagnosi e di trattamento della tubercolosi hanno salvato 37 milioni di vite. Il tasso di mortalità da tubercolosi si è ridotto del 45% e il tasso di prevalenza del 41% tra il 1990 e il 2013.

Traguardi

3.1     Entro il 2030, ridurre il tasso di mortalità materna globale a meno di 70 per ogni 100.000 bambini nati vivi

3.2     Entro il 2030, porre fine alle morti prevenibili di neonati e bambini sotto i 5 anni di età.  Tutti i paesi dovranno cercare di ridurre la mortalità neonatale ad almeno 12 per ogni 1.000 bambini nati vivi e la mortalità dei bambini sotto i 5 anni di età ad almeno 25 per 1.000 bambini nati vivi

3.3     Entro il 2030, porre fine alle epidemie di AIDS, tubercolosi, malaria e malattie tropicali trascurate; combattere l’epatite, le malattie di origine idrica e le altre malattie trasmissibili

3.4     Entro il 2030, ridurre di un terzo la mortalità prematura da malattie non trasmissibili attraverso la prevenzione e il trattamento e promuovere benessere e salute mentale

3.5     Rafforzare la prevenzione e il trattamento di abuso di sostanze, tra cui l’abuso di stupefacenti e il consumo nocivo di alcol

3.6     Entro il 2020, dimezzare il numero globale di morti e feriti a seguito di incidenti stradali

3.7     Entro il 2030, garantire l’accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, inclusa la pianificazione familiare, l’informazione, l’educazione e l’integrazione della salute riproduttiva nelle strategie e nei programmi nazionali

3.8     Conseguire una copertura sanitaria universale, compresa la protezione da rischi finanziari, l’accesso ai servizi essenziali di assistenza sanitaria di qualità e l’accesso sicuro, efficace, di qualità e a prezzi accessibili a medicinali di base e vaccini per tutti

3.9     Entro il 2030, ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche pericolose e da contaminazione e inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo

3.a     Rafforzare l’attuazione del Quadro Normativo della Convenzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul Controllo del Tabacco in modo appropriato in tutti i paesi

3.b     Sostenere la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci per le malattie trasmissibili e non trasmissibili che colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo; fornire l’accesso a farmaci e vaccini essenziali ed economici, in conformità alla Dichiarazione di Doha sull’Accordo TRIPS e la Sanità Pubblica, che afferma il diritto dei paesi in via di sviluppo ad utilizzare appieno le disposizioni dell’Accordo sugli Aspetti Commerciali dei Diritti di Proprietà Intellettuali contenenti le cosiddette “flessibilità” per proteggere la sanità pubblica e, in particolare, fornire l’accesso a farmaci per tutti

3.c     Aumentare considerevolmente i fondi destinati alla sanità e alla selezione, formazione, sviluppo e mantenimento del personale sanitario nei paesi in via di sviluppo, specialmente nei meno sviluppati e nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo

3.d     Rafforzare la capacità di tutti i Paesi, sopratutto dei Paesi in via di sviluppo, di segnalare in anticipo, ridurre e gestire i rischi legati alla salute, sia a livello nazionale che globale

Fonte: https://unric.org/it/obiettivo-3-assicurare-la-salute-e-il-benessere-per-tutti-e-per-tutte-le-eta/

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén