“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive” - F.Dostoevskij

Mese: Agosto 2019

Dalla crisi al futuro, le occasioni da cogliere dal non profit

La crisi di governo è stata accolta con un moderato entusiasmo da una parte del terzo settore che nei mesi legislatura guidata dalla maggioranza gialloverde più di tutti si è sentita, per così dire delegittimata, dalle politiche. Inutile nasconderlo. Le polemiche con i due vice-premier Salvini e Di Maio, rispettivamente Ministro dell’Interno e Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sono state pressoché quotidiane.

Tuttavia questo moderato entusiasmo di chi ora spera in una nuova visione governativa rispetto a certi temi, un ritorno al passato per certi versi, rischia però di alimentare ulteriori divisioni e diffidenza e spaccare il terzo settore.

Piaccia o meno, al di là dalle legittime posizioni politiche di ciascuno, il mondo è cambiato a prescindere da Salvini e Di Maio: non è loro la colpa se il mondo delle ONG e più in generale del terzo settore (specialmente il volontariato) siano percepiti in modo negativo e come una semplice fetta di gestione clientelare ed ideologica.

Sono tanti, troppi gli errori del presente e del passato che hanno spinto parte degli italiani a questa considerazione e si badi bene che a questa fetta di popolazione appartengono numerosissimi operatori del terzo settore cresciuti proprio nel mondo che ora auspica un cambio di paradigma governativo senza fare davvero i conti con il proprio passato anche recente. Troppe le conventicole che hanno imposto la propria forza e le proprie relazioni in modo acritico emarginando spesso la parte sana degli attori del non profit.

Sarebbe auspicabile superare logiche di parte che penalizzano tutti, soprattutto le strutture minori che sono la vera spina dorsale della sussidiarietà italiana (non dell’assistenzialismo), e avviare – dopo la Riforma – anche un cambio di passo culturale nel mondo del non profit.

Dei metodi e delle applicazioni di alcune idee si può dibattere, ma senza chiarezza e analisi critica si rischia di perdere seriamente di vista i reali principi ispiratori che hanno reso l’Italia storicamente la patria del terzo settore e con essi la credibilità che tale mondo ancora vanta.

Occorre saper guardare avanti con serietà soprattutto perché il prossimo Governo (qualsiasi esso sia) dovrà ultimare la Riforma del Terzo Settore e sono diversi i provvedimenti in attesa di essere approvati o affrontati nel dettaglio non solo rispetto al nuovo schema legislativo: l’aumento dei fondi per il servizio civile, la gestione degli enti ai sensi della Riforma, il ruolo della certificazione e delle competenze per i volontari. Per parte nostra continueremo a chiedere ai decisori politici provvedimenti che supportino le piccole e medie organizzazioni del terzo settore le cui attività sono realmente decisive per la coesione sociale e procedono spesso in assenza delle istituzioni tra mille sacrifici personali: la compensazione dell’IVA per gli enti non commerciali e la stipula di protocolli d’intesa con gli istituti bancari che possano dare credito alle numerose realtà territoriali per far partire progetti ed attività importanti per i cittadini sarebbero degli ottimi segnali.

Una nuova stagione è già cominciata, non rincorriamo le divisioni del passato, ma accettiamo la sfida del cambiamento riconoscendo gli errori fatti e avviandoci nel futuro.

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Coinvolgere i giovani: una sfida per le classi dirigenti

Nel giorno di Ferragosto dalle pagine del Corriere della SeraFrancesco Giavazzi ha invitato la politica alla su cosa davvero, con le proprie scelte, stia lasciando ai giovani e più propriamente ad ascoltare i dieci milioni di giovani che non hanno ancora maturato il diritto di voto.

Potremmo tranquillamente sintetizzare, di là dai singoli e specifici “allarmi” sui debiti che si stanno consegnando alle giovani generazioni, che il prof. Giavazzi con il suo editoriale abbia ancora una volta richiamato la politica e le classi dirigenti a tenere presente che il proprio compito, in nome della responsabilità, non sia pensare cinicamente agli interessi del presente, ma costruire condizioni favorevoli per coloro che verranno.

Sicuramente l’invito all’ascolto non dovrebbe essere lasciato cadere nel vuoto, ma occorrerebbe anche evitare di creare troppe aspettative da questa attività e di consegnare ai minori un carico eccessivo di responsabilità.

Non si può, infatti, ignorare che la strada che ci ha portato ad oggi e a queste considerazioni sia lastricata probabilmente di errori e lacune nei percorsi educativi e formativi offerti ai ragazzi.

Proprio recentemente, la politica, ha iniziato a rispondere a tali problemi riproponendo l’educazione civica nelle scuole e questo, occorre tenerlo a mente, non è avvenuto per caso. Sono numerosi i giovani smarriti senza esempi – culturali ed educativi – che si distinguono quotidianamente per azioni altamente negative (senza che esse arrivino agli onori delle cronache).

La società attuale appare spesso nichilista (le passate ed attuali classi dirigenti hanno offerto in tal senso un contributo molto serio) e ciò non può lasciarci indifferenti. Ma non basta l’ascolto di chi, probabilmente, non è pienamente e veramente consapevole delle condizioni del Paese che vive, per uscirne.

Occorrerebbe una grande visione della comunità che si vuole costruire. Le sfide dell’ambiente ed il debito pensionistico che il prof. Giavazzi richiama sono solo degli aspetti da dover affrontare, ma non possiamo limitarci a questo.

Una grande visione del futuro e della comunità cui tendere non può prescindere dal fatto che a fronte di tanti ragazzi capaci, svegli e preparati c’è una stragrande maggioranza di quei 10 milioni di giovani che ancora non votano (estenderei la considerazione anche a gran parte di chi ha maturato da qualche anno il diritto di voto) che ha bisogno di esempi concreti e strumenti reali di educazione alla partecipazione.

Anche il più recente rapporto sui giovani della Fondazione Toniolo ci consegna una fotografia non positiva delle Giovani generazioni. Soprattutto nell’impegno e nella speranza del futuro.

Inutile cedere alla tentazione di narrazioni mediaticamente ricche di attrattività se vogliamo migliorare questa condizione.

Il tempo perduto lo si recupera con la consapevolezza e l’operatività quotidiana per un cambio di direzione. Facendo riacquistare fiducia da parte dei giovani nelle classi dirigenti (prima tutti i loro appartenenti dovrebbero ricordarsi di onorare il proprio ruolo), ma anche aiutandoli a crescere consapevoli che: la vita è sacrificio e accettazione delle condizioni date per provare a migliorarle, esiste la sconfitta, l’educazione e lo studio sono fondamentali e non inutili accessori del vivere in società, la responsabilità è qualcosa che riguarda tutti e non solo gli altri – siano essi politici o chiunque abbia un ruolo dirigenziale e/o educativo.

Per ultimo aiutandoli ad essere capaci di sognare e coltivare la speranza che non tutto è scritto, ma con le proprie azioni magari non è possibile cambiare il destino del mondo, ma sicuramente quello del contesto, grande o piccolo che sia, in cui vivono.

Ci rendiamo conto che, nonostante le numerose opportunità offerte dalle istituzioni che i giovanissimi potrebbero cogliere (programmi Erasmus, bandi di ogni genere), sono davvero pochi coloro i quali le conoscono e si propongono e ciò, spesso, non è dovuto alla responsabilità della poca comunicazione da parte delle istituzioni o degli enti?
Probabilmente non ne siamo pienamente consapevoli.

Bene stanno facendo ad esempio alcune istituzioni come l’Agenzia Nazionale Giovani a scendere nelle piazze ed interloquire direttamente con i giovani, ma a ben guardare, purtroppo, prendono parte a questa e ad altre campagne ancora ristrette minoranze.

Se guardiamo poi al servizio civile, esperienza di crescita e formazione che potrebbe essere al centro dei nuovi percorsi di cui si parlava, spesso molti enti non ricevono domande di partecipazione tali da soddisfare il numero di posti annualmente disponibili. Ancora una volta non è solo responsabilità delle istituzioni e degli enti attuatori dei progetti.

La vera sfida da vincere è quindi quella di porsi in ascolto dei più giovani, ma offrendo loro gli strumenti e le conoscenze in grado di aiutarli a coltivare e maturare non solo le competenze, ma la capacità di essere responsabili compiutamente dei percorsi e delle scelte della propria vita senza cedere ad alibi, nonostante le difficoltà, nonostante il mondo nichilista che spesso li circonda e che li spinge a fare il contrario perché “tanto alla fine nulla potrà cambiare”.

È una sfida titanica, ma può cominciare ad essere vinta solo se ad essere consapevoli della realtà saremo prima noi adulti.

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Terzo settore: lavorare insieme per riscoprirne il significato e valorizzarne i risultati

Mai come negli ultimi mesi il terzo settore sembra essere tra gli argomenti principali del dibattito pubblico

Dall’attesa dei decreti e delle circolari esplicative della Riforma passando per diversi casi di cronaca fino ad arrivare alle polemiche politiche, ogni settimana il terzo settore assume uno spazio significativo e impegna gli addetti ai lavori ed i cittadini in confronti più o meno pacati circa il ruolo che esso svolge per il nostro Paese.

Recentemente il Ministro Di Maio, spinto da alcuni fatti di cronaca, ha espresso un pensiero molto chiaro “Questi scandali sempre più spesso accadono quando lo Stato si ritira dando spazio a imprese, cooperative, Onlus magari politicamente o ideologicamente vicine, con una esternalizzazione o peggio privatizzazione dei servizi pubblici. Questo processo lo abbiamo già visto in diversi casi”. Tale osservazione ha, naturalmente, mobilitato la risposta di numerosi rappresentanti del terzo settore che hanno fatto notare come da sempre proprio dal variegato mondo del non profit siano arrivate richieste di maggiori controlli e applicazione delle regole in nome della trasparenza.

Pur condividendo nel merito la risposta al Ministro Di Maio ed il conseguente invito a non generalizzare, bisognerebbe pur considerare che, probabilmente, questo momento storico può essere vissuto come una grande opportunità in termini di consapevolezza e rilancio per tutto il mondo del terzo settore. Non è solo “colpa” della politica o delle “pecore nere” dell’universo non profit se gli italiani tendano a fidarsi sempre meno del terzo settore nonostante gli sforzi quotidiani immensi di tante piccole realtà sui territori. Spesso l’approccio ideologico ha davvero viziato alcune attività facendo venire meno l’applicazione del principio di sussidiarietà in modo chiaro e compiuto e con la persona ed i suoi bisogni al centro del proprio operato.

Sicuramente la presenza di regole certe e di controlli rigidi potrà aiutare, ma occorre una grande operazione nazionale di rilancio del nostro mondo. Una nuova narrazione non viziata dalle amicizie politiche o di comodo, ma ancorata al reale e mossa dalla volontà di dare davvero voce a ogni latitudine al grande impegno dei tantissimi operatori seri del terzo settore.

Un vero e proprio cambio di paradigma non più procrastinabile. Uno studio evidenziato da Eurostat ha acceso un ulteriore campanello d’allarme: in una speciale classifica venuta fuori da una più vasta indagine EU SILC sulla partecipazione e l’integrazione sociale, l’Italia è la nazione europea con la percentuale più alta di persone che affermano di non avere nessuno a cui rivolgersi in caso di necessità (il 13.2 % del campione intervistato che sale al 17% se consideriamo le persone con basso livello d’istruzione).

Sicuramente, come mostra anche lo studio, su tali percentuali influiscono anche il livello d’istruzione ed il reddito personale, ma non possiamo pensare che il crollo di fiducia verso il non profit sia totalmente estraneo all’esito di questa indagine. Tutto questo accade nonostante la realtà di tanti esempi virtuosi realmente vicini ai cittadini.

Lo studio appena citato mette anche in evidenza dei dati sulla partecipazione che trovano riscontro in numerose altre indagini più recenti: si fa strada un’idea d’impegno sociale individuale vissuto al di fuori di strutture organizzate ed impegnate in nome di un obiettivo chiaro. I Paesi del Nord su questo sono capofila, ma in Italia c’è, ormai, una sostanziale parità tra la percentuale di coloro che s’impegnano in modo non formale e quelli attivi in strutture organizzate. Non è necessariamente un male, ma sicuramente ciò offre uno spunto di riflessione ulteriore circa la percezione del valore d’impegnarsi in comunità per finalità più alte ed importanti. Tanto più che a livelli assoluti l’Italia, da questa indagine, risulta essere non ai primi posti per l’impegno nel volontariato e più in generale nella partecipazione sociale (rispettivamente 17mo posto per numero di cittadini attivi in strutture organizzate e 22mo posto per cittadini operativi in modo individuale).

Non possiamo fingere che nulla sia accaduto nel Paese negli ultimi anni e continuare a pensare che i problemi e le colpe siano sempre e solo frutto delle azioni e le scelte di una parte.

Se c’è una cosa che il terzo settore insegna, in particolar modo il volontariato, è la possibilità di raggiungere grandi obiettivi lavorando con coesione e spirito di sacrificio in nome di valori condivisi in grado di mettere da parte le differenze poiché ciò che conta è risolvere i problemi. Pertanto, più che continuare in uno sterile teatrino di scambi reciproci di accuse e responsabilità è, probabilmente, giunto il tempo di andare oltre le divisioni e iniziare a lavorare insieme per ricostruire, oltre ogni forma e tossina ideologica, il senso di appartenenza a una comunità che ha sempre avuto nella solidarietà una delle sue stelle polari.

Fonte: Dati Eurostat

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