“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive” - F.Dostoevskij

Mese: Novembre 2020

Grazie COVID: ecco perché abbiamo capito che il “moderatismo” è un inganno

La pandemia e tutte le crisi conseguenti o che semplicemente COVID-19 ha reso palesi ci offrono una grande opportunità.

Non intendo riferirmi a quella vaga idea secondo la quale le difficoltà di questo lungo anno ci avrebbero resi migliori, anche perché i fatti hanno clamorosamente smentito il nobile auspicio, ma per la circostanza guardo alla certezza che qualsiasi crisi nella storia sia stata l’occasione per mutare paradigmi, ripartire, ricostruire e fare i conti con tutto quanto in precedenza rappresentasse ostacolo e freno.

Più volte e in diverse occasioni abbiamo tutti insieme potuto registrare l’incapacità da parte della nostra classe dirigente di essere almeno leggermente migliore delle comunità che in un modo o nell’altro è stata chiamata a guidare, eppure, la speranza che questo stato di cose mutasse in positivo non l’abbiamo mai smarrita. Non possiamo non guardarci allo specchio e iniziare a capire che, nel profondo, non tutto è colpa degli altri, dei cosiddetti “potenti”. Le ragioni di questa mediocrazia sono molteplici e come comunità non possiamo sentirci esonerati dall’essere chiamati in causa per il fatto di aver smesso di pretendere più trasparenza, ma solo parole rassicuranti. Probabilmente è questa una delle più grandi manifestazioni del predominio dell’egoismo: se scompare la chiarezza, ma predomina solo il racconto di ciò che vorremmo o in qualche modo ci si adagia sulle narrazioni più convenienti, allora tende a sparire la responsabilità e anche il senso di unità.

Non è più possibile procedere oltre con questa modalità. Non è più il tempo di accettare che tutto sia gestito dalle stesse persone che ci hanno condotto a questo stato di cose attraverso l’applicazione di metodi ed idee che hanno alimentato solo la forza, sempre più precaria, di poche conventicole composte da soliti noti con l’aggiunta di pochi “fortunati” adulatori delle nostre peggiori passioni.

Abbiamo un assoluto bisogno di chiarezza su un duplice binario, quello della nostra coscienza e quello che porta al nostro esistere comunitario.

Si ascoltano costantemente, nel frastuono e caos quotidiano del predominio delle notizie sulla pandemia, richiami all’essere moderati e responsabili, ma con molta pacatezza dovremmo iniziare a chiederci: la responsabilità e l’unità che ora da più parti s’invocano, sono le stesse che ci hanno regalato il governo dei mediocri? Generalmente quando una cura non funziona, la cambiamo. La fiducia nelle istituzioni è ai minimi termini, siamo comunità divise e la strada della vera unità (non di quella evocata ad uso e consumo di chi ci dovrebbe guidare in nome del bene comune) la possiamo ritrovare solo concentrandoci nel ricercare e pretendere costantemente la chiarezza. Parole e fatti di verità. Non narrazioni.

Ci lasciamo rassicurare dal richiamo alla moderazione, ma davvero ci sentiamo tutti violenti? Realmente crediamo di essere in gran parte dei facinorosi pronti a ribaltare il tavolo? Certo l’educazione è in gran parte un lontano ricordo e molto andrebbe fatto anche sulle minime regole di vivere civile, ma nei fatti siamo tutti moderati. La stragrande maggioranza non esce di casa per minacciare le persone o creare danni a cose di proprietà altrui o di pubblica utilità per cui questo dibattito sulla necessità della moderazione presenta qualcosa di sterile, noioso e inconcludente. L’unico risultato che può avere è quello di prolungare l’agonia, anestetizzarci e non focalizzare l’attenzione sui veri problemi e contribuire a tutelare chi detiene fallimentarmente posizioni di potere.

Facciamoci forza, dunque, e torniamo alla verità nelle parole e nei fatti. Troviamo il coraggio di cogliere le vere opportunità che le crisi ci offrono per abbracciare una grande visione di cambiamento e parole, magari nette e radicali, ma chiare.

Terzo Settore è anche uno strumento per ridurre la sfiducia dei giovani verso le istituzioni

Il Rapporto Giovani 2020 edito dall’Istituto Toniolo ha offerto, come sempre, una valida fotografia della condizione giovanile in Italia. L’importanza di questo studio aumenta in questo anno segnato dalla maggiore precarietà imposta dalla pandemia in corso.

L’ultima edizione del report evidenzia il trend che ritroviamo purtroppo anche in altre importanti pubblicazioni recenti (cfr.l’ultimo rapporto Caritas) ovvero sono in aumento i giovani in condizioni di disagio economico. 

Non è solo questo dato che dovrebbe farci preoccupare, ma anche il contemporaneo gap tra giovani che riescono ad accedere a buoni e completi percorsi formativi e giovani con una formazione più debole e meno informati.

Su questa differenza lo studio annuale dell’Istituto Toniolo si sofferma molto, evidenziando come fino a questo momento le politiche dedicate ai NEET (non occupati, né inseriti percorsi formativi o di istruzione) abbiano portato a scarsi risultati: non può non destare preoccupazione il fatto che solo il 16,3% conoscesse una misura come il Reddito di Cittadinanza. A prescindere dal merito del provvedimento, esso rappresenta uno dei più importanti strumenti varati per contrastare la disoccupazione e aiutare le fasce deboli della popolazione. 

La polarizzazione tra giovani con migliori percorsi formativi ed opportunità ed altri con bagagli e riferimenti culturali meno solidi, incide sulla visione che essi hanno del futuro e anche sulla loro adesione a percorsi di partecipazione ed impegno. Tra i primi prevale, infatti, la consapevolezza della necessità di partecipare e concorrere alla costruzione della propria comunità di appartenenza, nei secondi invece sfiducia verso il futuro legata ad una forte disillusione sul peso del proprio impegno e voto per un reale e positivo impatto sulla società. 

La pandemia ha ulteriormente acuito questa condizione in quanto un giovane italiano su tre, come rilevato dalle indagini, è convinto che l’emergenza influirà negativamente sul futuro, in particolare quello lavorativo. Emerge una sfiducia crescente nei confronti delle istituzioni (non solo quelle strettamente politiche) che difficilmente potrà essere recuperata finchè i principali attori politici continueranno a non rendersi conto della grave crisi in cui è piombata la classe dirigente della nazione. Non manca più solo la capacità di guidare i processi, ma anche di ispirare speranza e fiducia nel futuro ed è evidente che su questi presupposti il futuro non potrà essere roseo per la nostra comunità nazionale.

Da dove ripartire? 

Un’indicazione possiamo coglierla da ciò in cui giovani hanno più fiducia: volontariato, ricerca scientifica e strutture ospedaliere (sempre dati del rapporto dell’Istituto Toniolo). Al di là dello spettacolo urlante e divisivo che troppo spesso si è riversato sui media, i giovani hanno fiducia proprio in chi durante questa emergenza  è “al fronte” per combattere e vincere la “guerra” contro il coronavirus.

L’auspicio è che tutti coloro impegnati attualmente nelle tre “istituzioni” citate prendano coscienza dell’effettivo ruolo che essi possono avere per la costruzione e la maturazione di una classe dirigente diversa, consapevole ed in grado di elaborare una strategia volta ad affrontare con chiarezza e determinazione le grandi sfide che ci aspettano. 

Il tempo delle divisioni è finito, ma dovremmo lasciarci alle spalle anche finti propositi di coesione “di maniera”. 

Il terzo settore nella sua interezza poichè è presente in tutte e tre le “istituzioni” citate può farsi promotore e interprete di questo principale cambiamento. Può farlo chiedendo alla politica di essere ascoltato e rappresentato seriamente, di evitare il perdersi in conflitti ideologici, nello stimolare la partecipazione giovanile, nel proporre modelli alternativi di sviluppo sostenibile, nel tracciare e praticare nuovi modelli di welfare.

Lo chiedono i giovani e il futuro della nostra comunità nazionale.

Pubblicato su: Servizio Civile Magazine

La necessità di riscoprirsi comunità e l’importanza di avere una classe dirigente

L’emergenza e la pandemia hanno contribuito ad acuire molti dei diversi problemi della società italiana. Tralasciando l’ormai consolidata e triste tendenza ad inseguire narrazioni che poco hanno a che fare con la realtà che sembra colpire chi ha responsabilità di gestione e governo ad ogni livello, sembra proprio che il cosiddetto Paese coi suoi problemi concreti e le sue difficoltà debba essere sempre messo in secondo piano.

La classe dirigente, al netto dell’effetto sorpresa del primo periodo della pandemia che oggettivamente non era stata prevista, ha mostrato a grandi linee incapacità e impreparazione nel guidare i processi e pianificare una strategia adeguata ad affrontare una pronosticata seconda ondata dell’epidemia e la crisi socio economica che, purtroppo, ad essa si è accompagnata.

Sembra quasi naturale il dover essere rassegnati all’ineluttabile lentezza del sistema burocratico, a poche impostazioni metodologiche amministrative e politiche già fallimentari in più occasioni, all’assenza di visioni di ampio respiro per la nostra nazione. Da più parti, anche in quella che dovrebbe essere classe dirigente, si levano voci di protesta e richiamo alla grande opportunità offerta da questa grave crisi per “resettare” tutto e ripartire: ma quanta credibilità possono avere queste giuste osservazioni se ad avanzarle sono gli stessi che sino ad ora hanno quanto meno inseguito narrazioni errate? Gli stessi, per citare un esempio, che sono riusciti a far uscire bandi per potenziare le terapie intensive oggi a seconda ondata già pienamente in corso, nonostante sei mesi di tempo?

Per non parlare dei ritardi nella cassa integrazione (quante sono le persone ancora in attesa dei pagamenti da maggio?), del costante dimenticare il terzo settore, della pianificazione per la gestione di tutti i pazienti colpiti da altre patologie e non dalla malattia Covid-19?

Forse siamo davvero giunti ad una fase in cui come comunità dovremmo riscoprirci uniti, non solo nel combattere e vincere la sfida alla Covid-19, ma nel prendere la dovuta consapevolezza di dover cominciare un percorso di serio rinnovamento nella classe dirigente e rimuovere quei tanti muri di gomma che frenano le migliori energie ed intelligenze in ogni ambito e oltre la retorica delle narrazioni errate.

Una sana circolazione delle élite che contribuisca a dare nuova linfa e visione alla nostra comunità nazionale e guidandola con consapevolezza verso il futuro.

Pubblicato su: Il Riformista

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