“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive” - F.Dostoevskij

Mese: Aprile 2020

Se la crisi diventa un’opportunità per la partecipazione

Superata la prima fase della pandemia che ha colpito l’intero globo ovvero quella in cui tutti i governi hanno dovuto prendere atto dei rischi per la salute dei cittadini ed assumere decisioni con l’obiettivo di limitare il contagio, ci avviamo non senza preoccupazioni verso la sfida della “nuova” normalità.

Molto si è scritto e detto circa gli effetti dell’epidemia sulle relazioni umane, sulla salute delle persone e su come saremmo diventati una volta che il peggio sarebbe stato alle nostre spalle. Riflessioni che grazie alla potente cassa di risonanza garantita dalla tecnologia, in particolare dei social, sono arrivate da ogni latitudine e livello e hanno contribuito a valorizzare il tempo dell’isolamento nelle proprie case. La fase del “dopo” è in realtà alle porte e inizia a presentare il conto, come da previsioni, sul fronte economico e sociale.

Siamo alle porte di un momento forse ancora più difficile, poiché gli effetti rischiano di essere devastanti se l’intera comunità – non solo chi ora ha l’onere di guidarla – saprà farsi carico delle responsabilità necessarie per affrontare al meglio i problemi che da più fronti popoleranno il nostro quotidiano.

Si è spesso affermato e letto che le crisi possono rappresentare opportunità positive per coloro i quali riescono ad andare oltre i legittimi momenti di difficoltà. Questa è senza dubbio una verità che per avere effetti concreti deve essere accompagnata dalla visione e dalla volontà di ritrovarsi impegnati sinergicamente in scelte coraggiose e capaci di dare vita anche a mutamenti di paradigma.

I sacrifici ad esempio potrebbero non essere vani se deviando da alcune storture del sistema burocratico, cominciassimo ad imboccare strade in cui i procedimenti siano molto più snelli e meno farraginosi. Se fossero promosse procedure di collaborazione basate sulle idee e su ciò che realmente occorre alle comunità piuttosto che perseverare in scelte dettate dalla mera appartenenza a singoli gruppi. Non è semplice, tuttavia è necessario.

Per restare al campo dei servizi sociali ed assistenziali potrebbe essere un’ottima occasione per cominciare ad applicare in modo serio le procedure di co-programmazione e co-progettazione (coinvolgimento degli ETS nelle scelte degli enti pubblici) previste dalla riforma del terzo settore e che consentirebbero di vivere un vero e proprio momento di partecipazione per rispondere ai bisogni dei cittadini. I registri, le procedure in attivazione e nuove modalità di selezione degli attori in campo potrebbero risultare decisivi per garantire la coesione sociale e avviare una fase di risposta ai bisogni dei cittadini che si preannuncia più difficile che mai. La sussidiarietà troverebbe una rappresentazione più che mai evidente e sarebbe l’inizio di una nuova stagione del welfare.

Inoltre, se c’è una cosa che l’isolamento nelle nostre case ha potuto suggerirci è un uso intelligente dei social network: non che prima non fosse chiaro che essi rappresentino un validissimo strumento per il coinvolgimento dei cittadini e la promozione della cosiddetta partecipazione “dal basso”, ma la triste esperienza recente ha spalancato le porte a nuovi possibili usi dei social network per la diffusione e la condivisione di buone pratiche. Da inferno delle fake news (il cui rischio è sempre dietro l’angolo) essi potrebbero rivelarsi un ottimo alleato per la ripartenza e la gestione di utili e corrette informazioni specialmente sui temi della cura della persona e tutela della salute (non deve essere sottovalutato il recente rapporto di PiT Salute di Cittadinanza Attiva che ha registrato le lamentele dei cittadini per una mancanza di corretta informazione nel 62,4% dei casi).

Un uso più consapevole dei social network dovrebbe però accompagnarsi alla consapevolezza che al momento nel Sud Italia il 41,6% delle famiglie è senza computer in casa e non ha dimestichezza con la tecnologia e quindi non possiamo dimenticare le tante persone che non possono cogliere o chiedere un aiuto perché vittime del gap culturale legato all’uso dei moderni strumenti di interazione e comunicazione. È accaduto incredibilmente con le recenti misure assunte dal Governo e dalle istituzioni territoriali: non sono poche le persone che si sono viste negare gli aiuti o peggio ancora che non hanno potuto candidarsi ai diversi bandi perché non in grado di raggiungere o essere raggiunte dalle notizie.  Tra queste persone si registra una “discreta” percentuale i giovani che segnala come questo problema non riguardi solo gli anziani.

Un sistema realmente partecipativo potrebbe porre argine a queste incredibili storture e consentirebbe di gestire con criterio e buon senso la crisi sociale alle porte.

Terzo settore ed istituzioni: una nuova stagione di collaborazione in nome del diritto alla Salute

Lo scorso dicembre, alla presenza del Ministro della Salute Roberto Speranza, veniva presentato a Roma, il “XXII Rapporto PiT Salute” realizzato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. Sembra passata un’era e nessuno poteva immaginare che all’orizzonte ci fosse la sfida più importante che il sistema sanitario e l’Italia dovessero affrontare dal dopo guerra ad oggi.

Il rapporto evidenzia come 1 cittadino su 3 presenti difficoltà nell’accesso alle cure e alle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale: nell’ambito di tale criticità il 32,2 % degli intervistati ha dichiarato che essa è legata ai costi ed alle condizioni di disagio economico, il 34,1% alle liste d’attesa per ottenere visite specialistiche (ritardi rilevanti si registrano anche nella fruizione di esami diagnostici come ecografie, risonanze magnetiche, ecodoppler ecc…). Non deve essere sottovalutato anche il dato che vede i cittadini lamentare una mancanza di corretta informazione nel 62,4% dei casi.

Un scenario così delineato al dicembre 2019 non può assolutamente farci dormire sogni tranquilli nel progettare l’Italia post-Covid19, ma deve assolutamente spingere coloro i quali sono impegnati a vario titolo nel fondamentale “territorio” del diritto alla salute ad alzare la guardia e pianificare strategie utili a rispondere all’aumentata richiesta di cure che si alzerà da fasce di popolazione sempre più colpite dal disagio economico sia dal punto di vista dell’accesso ai servizi sia dalla diffusione di corrette e semplici informazioni.

Lo studio quindi, nonostante i tanti cambiamenti allo stile di vita che seguiranno l’epidemia, non perde la sua attualità e offre alcuni spunti da cui partire per immaginare il ruolo importante che le associazioni operanti nel settore salute possano avere nel prossimo futuro.

Riguardo la diffusione di corrette informazioni le associazioni e gli enti del terzo settore potranno svolgere un importante ed utilissimo ruolo poiché anche in questo momento, in molti casi, colmano la distanza tra istituzioni sanitarie e cittadini riuscendo a raggiungere attraverso le reti di contatti e dei legami territoriali le fasce della popolazione più colpite da condizioni di disagio sociale ed economico.

Nell’Italia post epidemia da coronavirus, purtroppo probabilmente più povera, potranno e dovranno essere protagoniste tutte quelle realtà del terzo settore impegnate nel portare l’accesso alla “salute” in direzione dei cittadini offrendo consulti, visite e prestazioni mediche gratuite nelle piazze e tramite ambulatori e sportelli di medicina solidale. L’aggravarsi delle condizioni di disagio economico chiama quindi ad un ulteriore impegno ed assunzione di consapevolezza gli enti citati che potranno essere fondamentali per supportare non solo il Servizio Sanitario Nazionale, ma l’intero sistema del welfare nel reggere l’urto dei nuovi bisogni che arriveranno e gestire eventuali emergenze. In una tale ottica dovranno diventare ancora di più centrali i programmi dedicati alla prevenzione e alla promozione dei corretti stili di vita.

La stagione alle porte offrirà buoni risultati in questo senso se gli enti del terzo settore riusciranno a vivere il proprio ruolo raccordandosi con le istituzioni e rafforzando le reti: la speranza è che siano pienamente attuate la co-programmazione e la co-progettazione previste dal Codice del terzo settore con l’obiettivo di far collaborare  enti pubblici ed enti non profit per la realizzazione di attività rientranti nei settori di attività di interesse generale (che quindi non presuppongono interessi diversi e contrapposti). La salute è una di queste.

Programmando ed individuando strategie comuni con attività mirate alla soddisfazione delle diverse esigenze emergenti dai singoli territori sarà possibile offrire valide risposte ai tanti cittadini che si ritroveranno ad affrontare le difficoltà di accesso alle cure. Le iniziative ed i progetti risentiranno delle indicazioni di distanziamento sociale che saremo, probabilmente, costretti a seguire nei prossimi mesi, ma il dopo coronavirus può rappresentare un nuovo punto di partenza nella costruzione di una comunità più partecipe e collaborativa.

Oltre gli annunci, il reale

Sembra passata un’eternità, ma siamo a poco più di un mese dal lockdown e a poco meno di due mesi dalla “scoperta” dell’epidemia con i primi casi ufficiali di Codogno.

L’impatto della crisi sulla nostra nazione inizia a farsi sentire e dopo i primi momenti, tanto paradossali quanto particolari, in cui si cantava dai balconi aspettando la fine dell’epidemia, intravediamo ora i primi effetti di una crisi che – come detto da moltissime parti – rischia di colpire ancora più a fondo di quanto le tragiche innumerevoli morti abbiano già fatto.

Prima del 21 febbraio, la crisi economica iniziata nel 2008 e che investì pienamente l’Italia nel 2011 non era del tutto alle spalle e molte erano ancora le questioni irrisolte. La frase-auspicio “andrà tutto bene” non ci aiuterà più di tanto se ad essa non iniziamo a far seguire fatti concreti e la classe dirigente non si decida a farsi carico pienamente della responsabilità e degli oneri che le spettano. Magari qualcuno storcerà il naso e griderà ad un populismo radicale, ma le posizioni politiche di parte sono “successive” a questo ragionamento..

Non basta, purtroppo, pensare a come bloccare il contagio e frenare l’epidemia o, almeno, questa fase è superata, ma occorre rendersi conto responsabilmente che il reale è molto più complesso ed è costituito anche dai milioni di italiani che fortunatamente sopravviveranno al virus e vedranno cambiare la propria vita non in un nome di un nuovo modo di intenderla o di un alternativo paradigma economico, ma per perdita di reddito spesso anche abbastanza consistente.

Aumenteranno le richieste di sussidio e assistenza, aumenteranno i disagi per le persone e le famiglie abituate a convivere con problemi di salute, potrebbe aumentare il rischio di criminalità.

In assenza di valide strategie di contenimento della crisi economico-sociale non andranno in difficoltà solo le aziende, le imprese, i commercianti e il cosiddetto popolo delle partite iva, ma anche tutte le organizzazioni del terzo settore che a vario titolo hanno contribuito a costruire quel welfare di prossimità che, specialmente, negli ultimi anni è stato in grado di dar corpo alla sussidiarietà e a rispondere – nonostante la mancanza di risorse – ai tanti bisogni e alle numerose necessità dei territori grazie solo al contributo libero e personale dei singoli volontari.

Non possiamo, per quanto sia bello constatarne la presenza e registrarne l’efficacia, affidarci alla spinta solidaristica del momento perché quando cominceranno a venir meno le risorse dei privati cittadini molte iniziative si fermeranno unitamente a tante piccole realtà che fino ad ora, dalle periferie delle grandi città al più piccolo comune dell’entroterra, erano state un vero presidio di garanzia sociale.

Oltre la narrazione e gli annunci occorre immergersi nel reale ovvero prendere e applicare pienamente decisioni in grado di far letteralmente “sentire” la presenza ed il relativo peso dei provvedimenti.

Non si arriva a chiedere una “visione” ai rappresentanti della classe dirigente (sarebbe troppo) e nemmeno di usare termini utili buoni ad alimentare “racconti” e l’ego di ghost-writer più o meno in gamba, ma di andare oltre questi metodi. Di farsi realmente carico delle responsabilità, di applicare una strategia e iniziare a superare anche i lacci burocratici dietro i quali, per troppi anni, si sono a turno arroccati quasi tutti i decisori di ogni ordine e grado per difendere interessi di parte o peggio ancora per lavarsi le mani delle tante storture di questo Paese. La burocrazia a certi livelli è un male e crea molti danni.

Inutile dissertare e ragionarci: i ritardi del nostro sistema paese (anche rispetto a tutti gli altri stati colpiti dall’epidemia) nell’erogare primi sostegni economici a persone ed imprese sono sotto gli occhi di tutti e, se lo schema è questo, non c’è da essere sereni per l’immediato futuro. Più che pensare che tutto cambierà dopo il Covid, dovremmo credere fortemente che tra le opportunità vere che la crisi offre, c’è sicuramente quella di superare i dettami infiniti della burocrazia e iniziare a operare lasciando “racconti” e “narrazioni” alle loro dimensioni. Ci vogliono coraggio e responsabilità. Ci vuole una classe dirigente consapevole e che si attui il primato della Politica.

Occorre uscire da questo Grande Fratello, presto saranno in molti a non voler e poter più guardare questo show durato fin troppo.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

Riscoprirsi comunità valorizzando le piccole “grandi” realtà del non-profit

Il ruolo importante del terzo settore e nello specifico del volontariato (anche individuale e non “organizzato”) nell’affrontare l’epidemia causata dal coronavirus è stato più volte evidenziato nel corso delle ultime settimane. Sono moltissime le persone che hanno potuto continuare a beneficiare di assistenza e servizi utili grazie all’encomiabile impegno di migliaia di volontari ed operatori che si sono ritrovati a svolgere le proprie attività non di rado anche in assenza dei corretti Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

Se, infatti, è assolutamente necessario ricordare il sacrificio di molti medici, non dobbiamo dimenticare anche quello di diversi operatori del terzo settore colpiti dal virus nel mentre portavano il proprio contributo alla tenuta sociale della comunità.

Ancora una volta nei momenti di assoluta difficoltà il mondo del volontariato si è mostrato uno dei pilastri pronti a sorreggere la comunità ed offrire le prime risposte alla crisi, l’Italia è storicamente la culla del volontariato e non perde mai occasione per dimostrare quanto solide siano le radici in cui affondano le ragioni dell’impegno di milioni di persone.

Mai come in questo momento, con la crisi economica che seguirà il lockdown da coronavirus, ci si dovrebbe preoccupare di tutelare maggiormente questo patrimonio e questa forza cercando di non disperdere l’energia delle tante piccole realtà territoriali che hanno contribuito negli anni a realizzare un welfare di prossimità che tanti benefici ha portato alla comunità. Ogni volontario è portatore di valori e storie che raccontano di rinunce in nome del prendersi cura degli altri.  Spesso dimentichiamo che i volontari sono rappresentanti di senso laddove a volte sembrerebbe mancare. Ancora più spesso dimentichiamo che il tempo è prezioso e il dono incondizionato del proprio a una causa e alla cura della carne viva, della storia di un’altra persona è qualcosa che offre letteralmente dei corti circuiti in una società così protesa alla ricerca dell’interesse individuale e all’esclusivo profitto economico.

Perché queste considerazioni, pronunciate in altra forma e non solo oggi da molti rappresentanti della classe dirigente, non restino parole vuote sarebbe davvero opportuno iniziare a non dimenticare i “piccoli” rappresentanti di “grandi” storie. Parliamo delle piccole realtà territoriali, fuori dai grandi circuiti, dalle grandi reti perché spesso il tempo e le sole risorse che hanno sono quelle che rendono disponibili a chi vive situazioni di disagio.

Oggi ci raccontano di MES, di sussidi, di cinque per mille, di grandi compagini associative che sono un vanto per il nostro Paese, ma non possiamo e dobbiamo dimenticare chi opera in silenzio e che con la crisi economica alle porte rischia di veder mancare anche quel poco che poteva mettere a disposizione degli altri. Si rischia di perdere esperienze importanti ed irripetibili. Non tutti possono beneficiare di milioni o centinaia di migliaia di euro di cinque per mille o di rapporti con grandi ed importanti aziende e fondazioni.

Sarebbe bello iniziare a pensare ad una specie di Piano Marshall per il sociale e grazie al quale le grandi fondazioni bancarie, le grandi strutture del terzo settore, le Istituzioni ad ogni livello supportino – con poche, chiare, severe regole e linee guida – le piccole realtà del no-profit. Uscendo così, finalmente, dalle logiche competitive e di mercato che da diversi anni avvolgono il mondo del volontariato e del terzo settore in generale.

Anche questo sarebbe riscoprirsi comunità e davvero, almeno per il no-profit, non sarebbe tutto come prima.

Sviluppo sostenibile e Coronavirus: quale futuro per l’Agenda 2030?

La crisi che stiamo vivendo è stata più volte annunciata negli ultimi anni: circolano continuamente sui social (di ogni ordine e grado) i video in cui esperti o opinion leader profetizzano su come il mondo globalizzato sarebbe stato messo in crisi da una pandemia. Sono molte le riflessioni che si susseguono sulle cause e su tutte le implicazioni che l’epidemia da nuovo coronavirus può avere sul nostro mondo interconnesso e, chiaramente, oltre a quella sanitaria, saranno molteplici le emergenze che saremo costretti ad affrontare partendo da quelle legate alle difficoltà economiche delle famiglie, delle imprese e di tutto il mondo produttivo.

Al momento qualsiasi previsione potrebbe essere fuorviante perché la società globalizzata presenta numerose variabili che, ad ora, non possono essere identificate con esattezza. Sicuramente alcune delle strategie elaborate dagli stati e dalle organizzazioni sovranazionali dovranno essere riviste e mutare, nel tempo, alcuni approcci ai problemi da risolvere ed ai metodi scelti al fine di perseguire gli obiettivi prefissati.

Tra i piani elaborati per obiettivi ambiziosi di livello globale, soprattutto negli ultimi anni è diventata conosciuta e centrale l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile lanciata nell’ONU nel 2015 e che col passare degli anni è diventata un riferimento per numerose scelte politiche dei governi. Molte delle decisioni, delle direttive e delle azioni intraprese sono state dettate sempre più spesso dalla volontà di contribuire al raggiungimento dei diciassette obiettivi individuati nell’Agenda che, vale la pena ricordare, riguardano tutti gli aspetti della vita umana, avendo appunto lo scopo di stimolare e realizzare un programma d’azione “per le persone, per il pianeta e la prosperità”.

Il Coronavirus e la pandemia da esso causata, alla quale stiamo pagando enormi sacrifici in termini di vite umane, sono destinati a segnare il prossimo futuro poiché le misure adottate dalla quasi totalità dei governi chiameranno a scelte coraggiose e a probabili cambi di paradigma per quel che riguarda la tutela della salute, e ancor di più delle misure legate al welfare e allo sviluppo economico.
Nel frattempo può essere interessante e utile provare a capire in che modo la crisi generata dalla pandemia impatterà sugli obiettivi individuati dall’ONU nell’Agenda 2030.

È probabile e auspicabile che per l’obiettivo “Salute e Benessere”, dopo un primo periodo di assestamento, i governi possano assumere scelte volte ad aumentare le risorse destinate alla tutela della salute pubblica e ad investire in prevenzione e nella formazione medica e degli operatori.  Oltre, naturalmente, cominciare a migliorare le proprie strategie utili ad affrontare lo scoppio di nuove pandemie. Dal punto di vista dei singoli cittadini è al momento difficile capire la reazione ai diversi periodi vissuti rispettando le restrizioni e quali saranno i comportamenti che assumeranno per tutelare il proprio benessere. Sarebbe importante e necessario vigilare anche circa l’impatto della pandemia (con tutte le sue implicazioni) sulla psiche delle persone cominciando dagli operatori sanitari per arrivare a coloro i quali sono costretti a casa e che nel peggiore dei casi hanno dovuto vivere il distacco coi propri cari senza poterli vedere un’ultima volta.

Gli obiettivi che riguardano lo sviluppo, la povertà, l’uguaglianza, la tutela delle fasce deboli e l’accesso ai servizi minimi, nonostante gli sforzi e le risorse che saranno messe in campo, sicuramente potrebbero subire delle battute d’arresto in quanto saranno numerose le imprese e i lavoratori costretti ad affrontare una crisi economica e non è difficile prevedere un aumento di disoccupati, NEET ed in generale della povertà (può essere interessante a tal proposito consultare lo studio proposto dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Ci sarà molto da fare per mettere in sicurezza ampie fasce della popolazione che rischiano di scivolare sotto la soglia della povertà, alcuni esiti possono essere imprevedibili sulla tenuta sociale

In linea generale, inoltre, quella che il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha definito la “People action” ovvero l’azione e la pressione dei cittadini sui decisori politici per assumere decisioni in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e la loro partecipazione attiva potrebbero subire una battuta d’arresto.
Se il ruolo degli operatori del Terzo Settore risulta ancora una volta fondamentale per affrontare l’emergenza e garantire numerosi servizi allo stesso tempo la crisi economica potrebbe cancellare numerose importanti esperienze che hanno un ruolo importante sul territorio, ma che non possono avvalersi delle risorse economiche di cui godono strutture molto più grandi. Purtroppo, non c’è molto tempo a disposizione: occorre agire per aggiustare la rotta e attutire il più possibile i colpi della crisi già in atto.

Pubblicato su: Ricerca & Salute

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