Sembra passata un’eternità, ma siamo a poco più di un mese dal lockdown e a poco meno di due mesi dalla “scoperta” dell’epidemia con i primi casi ufficiali di Codogno.

L’impatto della crisi sulla nostra nazione inizia a farsi sentire e dopo i primi momenti, tanto paradossali quanto particolari, in cui si cantava dai balconi aspettando la fine dell’epidemia, intravediamo ora i primi effetti di una crisi che – come detto da moltissime parti – rischia di colpire ancora più a fondo di quanto le tragiche innumerevoli morti abbiano già fatto.

Prima del 21 febbraio, la crisi economica iniziata nel 2008 e che investì pienamente l’Italia nel 2011 non era del tutto alle spalle e molte erano ancora le questioni irrisolte. La frase-auspicio “andrà tutto bene” non ci aiuterà più di tanto se ad essa non iniziamo a far seguire fatti concreti e la classe dirigente non si decida a farsi carico pienamente della responsabilità e degli oneri che le spettano. Magari qualcuno storcerà il naso e griderà ad un populismo radicale, ma le posizioni politiche di parte sono “successive” a questo ragionamento..

Non basta, purtroppo, pensare a come bloccare il contagio e frenare l’epidemia o, almeno, questa fase è superata, ma occorre rendersi conto responsabilmente che il reale è molto più complesso ed è costituito anche dai milioni di italiani che fortunatamente sopravviveranno al virus e vedranno cambiare la propria vita non in un nome di un nuovo modo di intenderla o di un alternativo paradigma economico, ma per perdita di reddito spesso anche abbastanza consistente.

Aumenteranno le richieste di sussidio e assistenza, aumenteranno i disagi per le persone e le famiglie abituate a convivere con problemi di salute, potrebbe aumentare il rischio di criminalità.

In assenza di valide strategie di contenimento della crisi economico-sociale non andranno in difficoltà solo le aziende, le imprese, i commercianti e il cosiddetto popolo delle partite iva, ma anche tutte le organizzazioni del terzo settore che a vario titolo hanno contribuito a costruire quel welfare di prossimità che, specialmente, negli ultimi anni è stato in grado di dar corpo alla sussidiarietà e a rispondere – nonostante la mancanza di risorse – ai tanti bisogni e alle numerose necessità dei territori grazie solo al contributo libero e personale dei singoli volontari.

Non possiamo, per quanto sia bello constatarne la presenza e registrarne l’efficacia, affidarci alla spinta solidaristica del momento perché quando cominceranno a venir meno le risorse dei privati cittadini molte iniziative si fermeranno unitamente a tante piccole realtà che fino ad ora, dalle periferie delle grandi città al più piccolo comune dell’entroterra, erano state un vero presidio di garanzia sociale.

Oltre la narrazione e gli annunci occorre immergersi nel reale ovvero prendere e applicare pienamente decisioni in grado di far letteralmente “sentire” la presenza ed il relativo peso dei provvedimenti.

Non si arriva a chiedere una “visione” ai rappresentanti della classe dirigente (sarebbe troppo) e nemmeno di usare termini utili buoni ad alimentare “racconti” e l’ego di ghost-writer più o meno in gamba, ma di andare oltre questi metodi. Di farsi realmente carico delle responsabilità, di applicare una strategia e iniziare a superare anche i lacci burocratici dietro i quali, per troppi anni, si sono a turno arroccati quasi tutti i decisori di ogni ordine e grado per difendere interessi di parte o peggio ancora per lavarsi le mani delle tante storture di questo Paese. La burocrazia a certi livelli è un male e crea molti danni.

Inutile dissertare e ragionarci: i ritardi del nostro sistema paese (anche rispetto a tutti gli altri stati colpiti dall’epidemia) nell’erogare primi sostegni economici a persone ed imprese sono sotto gli occhi di tutti e, se lo schema è questo, non c’è da essere sereni per l’immediato futuro. Più che pensare che tutto cambierà dopo il Covid, dovremmo credere fortemente che tra le opportunità vere che la crisi offre, c’è sicuramente quella di superare i dettami infiniti della burocrazia e iniziare a operare lasciando “racconti” e “narrazioni” alle loro dimensioni. Ci vogliono coraggio e responsabilità. Ci vuole una classe dirigente consapevole e che si attui il primato della Politica.

Occorre uscire da questo Grande Fratello, presto saranno in molti a non voler e poter più guardare questo show durato fin troppo.

Pubblicato su: Istituzioni24.it