“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive” - F.Dostoevskij

Riscoprirsi comunità valorizzando le piccole “grandi” realtà del non-profit

Il ruolo importante del terzo settore e nello specifico del volontariato (anche individuale e non “organizzato”) nell’affrontare l’epidemia causata dal coronavirus è stato più volte evidenziato nel corso delle ultime settimane. Sono moltissime le persone che hanno potuto continuare a beneficiare di assistenza e servizi utili grazie all’encomiabile impegno di migliaia di volontari ed operatori che si sono ritrovati a svolgere le proprie attività non di rado anche in assenza dei corretti Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

Se, infatti, è assolutamente necessario ricordare il sacrificio di molti medici, non dobbiamo dimenticare anche quello di diversi operatori del terzo settore colpiti dal virus nel mentre portavano il proprio contributo alla tenuta sociale della comunità.

Ancora una volta nei momenti di assoluta difficoltà il mondo del volontariato si è mostrato uno dei pilastri pronti a sorreggere la comunità ed offrire le prime risposte alla crisi, l’Italia è storicamente la culla del volontariato e non perde mai occasione per dimostrare quanto solide siano le radici in cui affondano le ragioni dell’impegno di milioni di persone.

Mai come in questo momento, con la crisi economica che seguirà il lockdown da coronavirus, ci si dovrebbe preoccupare di tutelare maggiormente questo patrimonio e questa forza cercando di non disperdere l’energia delle tante piccole realtà territoriali che hanno contribuito negli anni a realizzare un welfare di prossimità che tanti benefici ha portato alla comunità. Ogni volontario è portatore di valori e storie che raccontano di rinunce in nome del prendersi cura degli altri.  Spesso dimentichiamo che i volontari sono rappresentanti di senso laddove a volte sembrerebbe mancare. Ancora più spesso dimentichiamo che il tempo è prezioso e il dono incondizionato del proprio a una causa e alla cura della carne viva, della storia di un’altra persona è qualcosa che offre letteralmente dei corti circuiti in una società così protesa alla ricerca dell’interesse individuale e all’esclusivo profitto economico.

Perché queste considerazioni, pronunciate in altra forma e non solo oggi da molti rappresentanti della classe dirigente, non restino parole vuote sarebbe davvero opportuno iniziare a non dimenticare i “piccoli” rappresentanti di “grandi” storie. Parliamo delle piccole realtà territoriali, fuori dai grandi circuiti, dalle grandi reti perché spesso il tempo e le sole risorse che hanno sono quelle che rendono disponibili a chi vive situazioni di disagio.

Oggi ci raccontano di MES, di sussidi, di cinque per mille, di grandi compagini associative che sono un vanto per il nostro Paese, ma non possiamo e dobbiamo dimenticare chi opera in silenzio e che con la crisi economica alle porte rischia di veder mancare anche quel poco che poteva mettere a disposizione degli altri. Si rischia di perdere esperienze importanti ed irripetibili. Non tutti possono beneficiare di milioni o centinaia di migliaia di euro di cinque per mille o di rapporti con grandi ed importanti aziende e fondazioni.

Sarebbe bello iniziare a pensare ad una specie di Piano Marshall per il sociale e grazie al quale le grandi fondazioni bancarie, le grandi strutture del terzo settore, le Istituzioni ad ogni livello supportino – con poche, chiare, severe regole e linee guida – le piccole realtà del no-profit. Uscendo così, finalmente, dalle logiche competitive e di mercato che da diversi anni avvolgono il mondo del volontariato e del terzo settore in generale.

Anche questo sarebbe riscoprirsi comunità e davvero, almeno per il no-profit, non sarebbe tutto come prima.

Sviluppo sostenibile e Coronavirus: quale futuro per l’Agenda 2030?

La crisi che stiamo vivendo è stata più volte annunciata negli ultimi anni: circolano continuamente sui social (di ogni ordine e grado) i video in cui esperti o opinion leader profetizzano su come il mondo globalizzato sarebbe stato messo in crisi da una pandemia. Sono molte le riflessioni che si susseguono sulle cause e su tutte le implicazioni che l’epidemia da nuovo coronavirus può avere sul nostro mondo interconnesso e, chiaramente, oltre a quella sanitaria, saranno molteplici le emergenze che saremo costretti ad affrontare partendo da quelle legate alle difficoltà economiche delle famiglie, delle imprese e di tutto il mondo produttivo.

Al momento qualsiasi previsione potrebbe essere fuorviante perché la società globalizzata presenta numerose variabili che, ad ora, non possono essere identificate con esattezza. Sicuramente alcune delle strategie elaborate dagli stati e dalle organizzazioni sovranazionali dovranno essere riviste e mutare, nel tempo, alcuni approcci ai problemi da risolvere ed ai metodi scelti al fine di perseguire gli obiettivi prefissati.

Tra i piani elaborati per obiettivi ambiziosi di livello globale, soprattutto negli ultimi anni è diventata conosciuta e centrale l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile lanciata nell’ONU nel 2015 e che col passare degli anni è diventata un riferimento per numerose scelte politiche dei governi. Molte delle decisioni, delle direttive e delle azioni intraprese sono state dettate sempre più spesso dalla volontà di contribuire al raggiungimento dei diciassette obiettivi individuati nell’Agenda che, vale la pena ricordare, riguardano tutti gli aspetti della vita umana, avendo appunto lo scopo di stimolare e realizzare un programma d’azione “per le persone, per il pianeta e la prosperità”.

Il Coronavirus e la pandemia da esso causata, alla quale stiamo pagando enormi sacrifici in termini di vite umane, sono destinati a segnare il prossimo futuro poiché le misure adottate dalla quasi totalità dei governi chiameranno a scelte coraggiose e a probabili cambi di paradigma per quel che riguarda la tutela della salute, e ancor di più delle misure legate al welfare e allo sviluppo economico.
Nel frattempo può essere interessante e utile provare a capire in che modo la crisi generata dalla pandemia impatterà sugli obiettivi individuati dall’ONU nell’Agenda 2030.

È probabile e auspicabile che per l’obiettivo “Salute e Benessere”, dopo un primo periodo di assestamento, i governi possano assumere scelte volte ad aumentare le risorse destinate alla tutela della salute pubblica e ad investire in prevenzione e nella formazione medica e degli operatori.  Oltre, naturalmente, cominciare a migliorare le proprie strategie utili ad affrontare lo scoppio di nuove pandemie. Dal punto di vista dei singoli cittadini è al momento difficile capire la reazione ai diversi periodi vissuti rispettando le restrizioni e quali saranno i comportamenti che assumeranno per tutelare il proprio benessere. Sarebbe importante e necessario vigilare anche circa l’impatto della pandemia (con tutte le sue implicazioni) sulla psiche delle persone cominciando dagli operatori sanitari per arrivare a coloro i quali sono costretti a casa e che nel peggiore dei casi hanno dovuto vivere il distacco coi propri cari senza poterli vedere un’ultima volta.

Gli obiettivi che riguardano lo sviluppo, la povertà, l’uguaglianza, la tutela delle fasce deboli e l’accesso ai servizi minimi, nonostante gli sforzi e le risorse che saranno messe in campo, sicuramente potrebbero subire delle battute d’arresto in quanto saranno numerose le imprese e i lavoratori costretti ad affrontare una crisi economica e non è difficile prevedere un aumento di disoccupati, NEET ed in generale della povertà (può essere interessante a tal proposito consultare lo studio proposto dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Ci sarà molto da fare per mettere in sicurezza ampie fasce della popolazione che rischiano di scivolare sotto la soglia della povertà, alcuni esiti possono essere imprevedibili sulla tenuta sociale

In linea generale, inoltre, quella che il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha definito la “People action” ovvero l’azione e la pressione dei cittadini sui decisori politici per assumere decisioni in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e la loro partecipazione attiva potrebbero subire una battuta d’arresto.
Se il ruolo degli operatori del Terzo Settore risulta ancora una volta fondamentale per affrontare l’emergenza e garantire numerosi servizi allo stesso tempo la crisi economica potrebbe cancellare numerose importanti esperienze che hanno un ruolo importante sul territorio, ma che non possono avvalersi delle risorse economiche di cui godono strutture molto più grandi. Purtroppo, non c’è molto tempo a disposizione: occorre agire per aggiustare la rotta e attutire il più possibile i colpi della crisi già in atto.

Pubblicato su: Ricerca & Salute

Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: Campus Salute in prima linea

Uno degli obiettivi indicati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età” e sicuramente tale scopo è uno dei più avvincenti da perseguire.

Come ogni risultato importante anche questo potrà essere il frutto di un lavoro sinergico tra le diverse forme di aggregazione territoriale e rappresentanza istituzionale che animano le comunità: dalla più piccola alla più estesa. Questa consapevolezza è un necessario punto di partenza, soprattutto, quando si sono fissati obiettivi così ambiziosi che riguardano il genere umano e il pianeta nel suo complesso.

Le associazioni possono e devono svolgere un importante lavoro di raccordo tra le istituzioni e gli organismi nazionali e sovranazionali che si dedicano della realizzazione delle attività utili al raggiungimento degli obiettivi indicati dall’Agenda 2030. Molti cittadini ignorano il documento e la strategia elaborata dalle Nazioni Unite e diventa così difficile il loro coinvolgimento diretto nelle azioni concrete che possono, giorno dopo giorno, avvicinarci al perseguimento dei risultati auspicati.

Le associazioni e tutti gli enti del terzo settore in generale, grazie alla loro presenza capillare nelle comunità, del loro dialogo costante con le istituzioni e delle proprie numerose attività quotidiane possono davvero incidere e recitare un ruolo fondamentale per la realizzazione dell’Agenda 2030 e del coinvolgimento attivo delle persone.

Campus Salute Onlus è impegnata da anni nella diffusione della cultura della prevenzione in modo da far crescere nella comunità la consapevolezza del valore dei corretti stili di vita e, soprattutto, di come lo stato di buona salute sia il frutto dell’applicazione di pochi, ma fondamentali principi di cautela ed attenzione volte a tutelarci dall’insorgere di numerose patologie. Il valore simbolico, ma anche pratico avendo non di rado contribuito ad aiutare numerose persone ad accorgersi di seri rischi in corso per la propria salute, della proposta a migliaia di cittadini di controlli medici gratuiti, di momenti di formazione ed informazione, di campagne per la salute maschile e femminile, il dialogo costante col mondo della ricerca, l’impegno per il contrasto all’obesità ed il consumo nocivo di alcol, rappresentano solo alcune delle attività che collocano l’associazione in linea con lo spirito auspicato dalle Nazioni Unite. Non si deve dimenticare l’impegno a lavorare in sinergia con le istituzioni e le tante realtà dei territori incontrate nel corso di un decennio, così come risulta impossibile ignorare il coinvolgimento fondamentale di tanti volontari (soprattutto giovani) appartenenti non solo al mondo della medicina, ma provenienti da diversi percorsi formativi, culturali e sociali.

Da settembre 2019 l’impegno per il perseguimento degli obiettivi indicati dall’Agenda 2030 è diventato “ufficiale” essendo Campus Salute ONLUS una dei partner ufficiali della Cattedra Unesco dell’Università Federico II di Napoli “Educazione alla salute ed allo sviluppo sostenibile” diretta dalla Prof.ssa Annamaria Colao: sono già diversi i progetti che vedono affinare le metodologie per favorire l’attuazione di azioni di contrasto all’obesità, di prevenzione delle malattie infettive – specialmente del virus dell’HIV tra gli adolescenti – e della diffusione della medicina di genere.

Gli obiettivi sono ambiziosi e Campus Salute è una delle tante importanti associazioni che possono lavorare e fare rete, ma come si suol dire “ogni lungo viaggio comincia con il primo passo” e la sfida da vincere nella prossima decade entra ora nel vivo, può essere utile conoscere (direttamente dal sito internet delle Nazioni Unite)  un po’ più da vicino le considerazioni alla base dell’obiettivo 3 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età”:

Per raggiungere lo sviluppo sostenibile è fondamentale garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età. Sono stati fatti grandi progressi per quanto riguarda l’aumento dell’aspettativa di vita e la riduzione di alcune delle cause di morte più comuni legate alla mortalità infantile e materna. Sono stati compiuti significativi progressi nell’accesso all’acqua pulita e all’igiene, nella riduzione della malaria, della tubercolosi, della poliomielite e della diffusione dell’HIV/AIDS. Nonostante ciò, sono necessari molti altri sforzi per sradicare completamente un’ampia varietà di malattie e affrontare numerose e diverse questioni relative alla salute, siano esse recenti o persistenti nel tempo.

Fatti e cifre

  1. Salute infantile
  • Ogni giorno muoiono 17.000 bambini in meno rispetto al 1990; tuttavia, ogni anno continuano a morire più di sei milioni di bambini prima del compimento del quinto anno d’età
  • Dal 2000, i vaccini contro il morbillo hanno prevenuto quasi 15,6 milioni di morti.
  • Nonostante decisi progressi a livello globale, una porzione crescente delle morti infantili avviene in Africa subsahariana e nell’Asia meridionale. Quattro su cinque morti infantili avvengono in queste regioni
  • I bambini nati in situazioni di povertà hanno quasi il doppio delle probabilità di morire prima del compimento del quinto anno d’età rispetto ai bambini nati nelle famiglie più ricche
  • I figli di madri istruite – anche di coloro che hanno completato soltanto la scuola primaria – hanno più probabilità di sopravvivere rispetto ai figli di madri senza alcuna istruzione.
  1. Salute materna
  • La mortalità materna si è ridotta di quasi il 50% dal 1990
  • In Asia orientale, nel Nordafrica e nell’Asia meridionale, la mortalità materna si è ridotta di circa due terzi
  • Tuttavia, il tasso di mortalità materna – ovvero la proporzione di madri che non sopravvivono al parto rispetto alle madri che invece sopravvivono – nelle regioni in via di sviluppo è ancora oggi 14 volte maggiore rispetto al tasso di mortalità materna delle regioni sviluppate
  • Un numero maggiore di donne sta ricevendo assistenza prenatale. Nelle zone in via di sviluppo, l’assistenza prenatale è aumentata dal 65% nel 1990 all’83% nel 2012
  • Solo la metà delle donne che vivono nelle zone in via di sviluppo riceve la quantità raccomandata di assistenza medica di cui ha bisogno
  • Sempre meno adolescenti hanno figli nella maggior parte delle regioni in via sviluppo, ma i progressi hanno conosciuto un rallentamento. Il grande incremento nell’uso dei metodi anticoncezionali che ha caratterizzato gli anni ’90 non è stato replicato nella prima decade del 2000
  • Lentamente, la richiesta di pianificazione familiare viene soddisfatta per un numero crescente di donne, ma la domanda sta aumentando rapidamente.
  1. HIV/AIDS, malaria e altre malattie
  • Alla fine del 2014, 13,6 milioni di persone avevano accesso a terapie antiretrovirali
  • Nel 2013 sono esplose 2,1 milioni di nuove infezioni da HIV, il 38% in meno rispetto al 2001
  • Alla fine del 2013, 35 milioni di persone vivevano con il virus dell’HIV
  • Nello stesso anno, 240.000 bambini sono stati infettati dal virus dell’HIV
  • Le nuove infezioni da HIV tra i bambini sono diminuite del 58% dal 2001
  • A livello mondiale, gli adolescenti e le giovani donne sono vittime di disuguaglianze, esclusione, discriminazione e violenza per motivi di genere, il che li espone ad un maggior rischio di contrarre l’HIV
  • L’HIV è la causa principale di morte tra le donne in età riproduttiva in tutto il mondo
  • Le morti da tubercolosi tra le persone che vivono con il virus dell’HIV è diminuita del 36% dal 2004
  • Nel 2013 si sono registrate 250.000 nuove infezioni da HIV tra gli adolescenti, due terzi delle quali hanno colpito le ragazze
  • L’AIDS è oggi la principale causa di morte tra gli adolescenti (dai 10 ai 19 anni) in Africa e la seconda causa più comune di morte tra gli adolescenti a livello mondiale
  • In molti luoghi, non viene rispettato il diritto delle adolescenti all’intimità e all’autonomia del proprio corpo; molte dichiarano che la loro prima esperienza sessuale è stata forzata
  • Nel 2013, 2,1 milioni di adolescenti vivevano con il virus dell’HIV
  • Tra il 2000 e il 2015, sono state evitate più di 6,2 milioni di morti per malaria, principalmente in bambini con età inferiore ai 5 anni in Africa subsahariana. Il tasso globale di incidenza della malaria si è ridotto del 37% e il tasso di mortalità del 58%
  • Tra il 2000 e il 2013 gli interventi di prevenzione, di diagnosi e di trattamento della tubercolosi hanno salvato 37 milioni di vite. Il tasso di mortalità da tubercolosi si è ridotto del 45% e il tasso di prevalenza del 41% tra il 1990 e il 2013.

Traguardi

3.1     Entro il 2030, ridurre il tasso di mortalità materna globale a meno di 70 per ogni 100.000 bambini nati vivi

3.2     Entro il 2030, porre fine alle morti prevenibili di neonati e bambini sotto i 5 anni di età.  Tutti i paesi dovranno cercare di ridurre la mortalità neonatale ad almeno 12 per ogni 1.000 bambini nati vivi e la mortalità dei bambini sotto i 5 anni di età ad almeno 25 per 1.000 bambini nati vivi

3.3     Entro il 2030, porre fine alle epidemie di AIDS, tubercolosi, malaria e malattie tropicali trascurate; combattere l’epatite, le malattie di origine idrica e le altre malattie trasmissibili

3.4     Entro il 2030, ridurre di un terzo la mortalità prematura da malattie non trasmissibili attraverso la prevenzione e il trattamento e promuovere benessere e salute mentale

3.5     Rafforzare la prevenzione e il trattamento di abuso di sostanze, tra cui l’abuso di stupefacenti e il consumo nocivo di alcol

3.6     Entro il 2020, dimezzare il numero globale di morti e feriti a seguito di incidenti stradali

3.7     Entro il 2030, garantire l’accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, inclusa la pianificazione familiare, l’informazione, l’educazione e l’integrazione della salute riproduttiva nelle strategie e nei programmi nazionali

3.8     Conseguire una copertura sanitaria universale, compresa la protezione da rischi finanziari, l’accesso ai servizi essenziali di assistenza sanitaria di qualità e l’accesso sicuro, efficace, di qualità e a prezzi accessibili a medicinali di base e vaccini per tutti

3.9     Entro il 2030, ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche pericolose e da contaminazione e inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo

3.a     Rafforzare l’attuazione del Quadro Normativo della Convenzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul Controllo del Tabacco in modo appropriato in tutti i paesi

3.b     Sostenere la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci per le malattie trasmissibili e non trasmissibili che colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo; fornire l’accesso a farmaci e vaccini essenziali ed economici, in conformità alla Dichiarazione di Doha sull’Accordo TRIPS e la Sanità Pubblica, che afferma il diritto dei paesi in via di sviluppo ad utilizzare appieno le disposizioni dell’Accordo sugli Aspetti Commerciali dei Diritti di Proprietà Intellettuali contenenti le cosiddette “flessibilità” per proteggere la sanità pubblica e, in particolare, fornire l’accesso a farmaci per tutti

3.c     Aumentare considerevolmente i fondi destinati alla sanità e alla selezione, formazione, sviluppo e mantenimento del personale sanitario nei paesi in via di sviluppo, specialmente nei meno sviluppati e nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo

3.d     Rafforzare la capacità di tutti i Paesi, sopratutto dei Paesi in via di sviluppo, di segnalare in anticipo, ridurre e gestire i rischi legati alla salute, sia a livello nazionale che globale

Fonte: https://unric.org/it/obiettivo-3-assicurare-la-salute-e-il-benessere-per-tutti-e-per-tutte-le-eta/

Agenda 2030: il ruolo chiave del Terzo Settore

Dieci anni.
Mancano esattamente dieci anni al 2030 indicato quale anno di riferimento per l’espletamento di tutti gli obiettivi individuati dall’ONU e da tutti i Paesi sottoscrittori dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile
Il documento rappresenta una vera e propria road-map per le Nazioni ed i cittadini per provare a costruire una comunità più aperta, inclusiva, solidale e vivibile.
Le recenti manifestazioni promosse a difesa dell’ambiente hanno sicuramente aumentato la platea dei cittadini desiderosi di confrontarsi con la questione dello sviluppo sostenibile, tuttavia troppo spesso essa viene concepita come legata esclusivamente alle attività relative alla tutela della natura.
Sicuramente uno sviluppo realmente sostenibile esprime come conseguenza un ambiente salubre, ma per raggiungere l’ambizioso obiettivo dell’Agenda 2030 sono stati individuati 17 obiettivi che, evidentemente, invitano ogni parte della comunità a svolgere il proprio compito. Essi sono:

Obiettivo 1: Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo
Obiettivo 2: Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile
Obiettivo 3: Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età
Obiettivo 4: Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti
Obiettivo 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere, per l’empowerment di tutte le donne e le ragazze
Obiettivo 6: Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie
Obiettivo 7: Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni
Obiettivo 8: Incentivare una crescita economica, duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti
Obiettivo 9: Costruire una infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile
Obiettivo 10: Ridurre le disuguaglianze all’interno e fra le Nazioni
Obiettivo 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili
Obiettivo 12: Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo
Obiettivo 13: Adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti climatici e le sue conseguenze
Obiettivo 14: Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile
Obiettivo 15: Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica
Obiettivo 16: Promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile; offrire l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi
Obiettivo 17: Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile

È chiaro che tali ambiziosi ed importanti obiettivi richiamano il terzo settore nella sua interezza ad assumersi le proprie responsabilità e a recitare un ruolo da protagonista.
Se concepiamo, infatti, l’Agenda 2030, come la “chiamata alla partecipazione” di tutti i cittadini, allora non possiamo non considerare come proprio il terzo settore sia il laboratorio per antonomasia dove quotidianamente maturano e si sviluppano molte delle risposte e delle strategie utili al conseguimento degli obiettivi prefissati.
A distanza di quattro anni dall’avvio ufficiale delle iniziative legate alla realizzazione dell’Agenda 2030 è opportuno ricordare come sia stato proprio il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in alcuni suoi ultimi interventi a ribadire il ruolo fondamentale che la cosiddetta “people action” (unitamente alla “global action” e alla “local action”) può avere per generare processi e movimenti di pressione decisivi per spingere i decisori politici ad adottare ed emanare leggi e regolamenti in linea con gli scopi da raggiungere.
La partecipazione dei cittadini ed il ruolo del terzo settore non può esaurirsi pertanto in un movimentismo che avrebbe il rischio d’ingenerare solo un’adesione acritica e mediatica figlia delle mode del momento, ma deve favorire processi di consapevolezza all’interno delle comunità in grado di spingere ed ispirare i singoli gruppi di cittadini ad impegnarsi, anche individualmente, per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030.
In altre parole: è nella capacità di fare rete del terzo settore in ogni sua forma, nonostante tutte le difficoltà ed egoismi del caso, che possiamo trovare una delle strade fondamentali per arrivare ai risultati auspicati entro questa importante ed avvincente decade appena iniziata.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

L’importanza di una classe dirigente consapevole

In questi giorni di consueto caos intorno ai perenni momenti elettorali ed alle polemiche politiche è indispensabile non dimenticare quella che dovrebbe essere una delle prime necessità per il nostro Paese (in generale per qualsiasi nazione) ovvero una classe dirigente consapevole del proprio ruolo.

Se troppo spesso sentiamo raccontare quanto l’Italia abbia sempre minor “peso” nello scacchiere europeo ed internazionale, ciò è dovuto alla mancanza di una classe dirigente in grado non solo di saper tutelare gli interessi nazionali, ma anche di essere capace di fare squadra in nome di un’idea comune e pre-politica di sviluppo, coesione, solidarietà ed innovazione capace di guidare la comunità a prescindere dai leader del momento e delle maggioranze politiche.

Una comunità può crescere quando, oltre a coltivare e curare la tradizione e le proprie peculiarità, riesce ad innovare e consolidare continuamente la sua classe dirigente.

Tale aspetto non riguarda solo la politica, ma tutti gli ambiti strategici che contraddistinguono ciò che dovrebbe essere il nerbo, la spina dorsale che sorregge la comunità ad ogni livello.

Se manca questa consapevolezza, allora inevitabilmente ci si affida all’improvvisazione e conseguentemente al caso spalancando le porte alla possibilità del decadimento.

Siamo davvero sicuri che il piano inclinato sul quale, probabilmente, ci troviamo sia irreversibile?
Davvero siamo così desiderosi di abbandonarci alla totale sconnessione e alla noia della civiltà burocratica, senza provare a rilanciare un’idea guida sulla quale costruire un comune senso di appartenenza e la formazione di una classe dirigente in grado di contribuire a rilanciare i nostri territori?
Un futuro migliore è possibile solo se riusciremo a concepirci e vivere come comunità di destino.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

Nel 2020 pensare il terzo settore come strumento per il futuro della nostra comunità nazionale

Gli ultimi giorni dell’anno diventano in modo inevitabile un’occasione di riflessione sulle cose accadute e su quelle che potrebbero sopraggiungere. La situazione italiana offre sempre spunti di riflessione per coloro i quali hanno ancora voglia di provare a dare il proprio contributo.

Si avverte sempre più la mancanza di una visione organica della nostra comunità: la classe dirigente, non solo politica, pare essere sempre meno consapevole del proprio ruolo e troppo presa ad affrontare singole questioni – spesso mediatiche ed autoreferenziali – legate al presente e poco incline a sviluppare e una strategia globale per il futuro.Non c’è in queste parole una nostalgia del tempo perduto delle ideologie, ma il desiderio di una nuova stagione delle idee. Specialmente di quelle che diventano azioni in grado di determinare in positivo il futuro della nostra comunità nazionale.

Senza idee non è possibile individuare e perseguire strategie ad ogni livello: dalla geopolitica, alla politica interna per arrivare alle politiche sociali e ai tanti altri settori che riguardano la vita di ogni singolo cittadino.

Sarebbe importante recuperare anche la consapevolezza dell’importanza delle parole che si pronunciano, non in nome una coerenza estrema che può anche rivelarsi dannosa (solo gli stupidi non cambiano idea), ma per delineare profili e comportamenti di serietà che troppo spesso mancano nel vivere quotidiano.

Senza voler richiamare le tante prove negative offerte su questo tema dal teatrino quotidiano di nuovi e vecchi leader politici, potremmo guardare al mondo del terzo settore e al crollo di fiducia da parte dei cittadini che si è registrato nell’ultimo anno, nonostante le numerose quotidiane testimonianze positive.

Anche il terzo settore è troppo spesso ostaggio di una retorica buonista ed autoreferenziale che non lascia spazio a serie riforme in grado di aiutare concretamente il mondo del volontariato ad esprimere pienamente il grande potenziale costituito dalle migliaia di piccole associazioni ed enti presenti sul territorio.

Il rischio è che anche in quest’ambito prevalgano sempre di più interessi di parte e di mercato nascosti da motivazioni ideologiche o peggio ancora ammantate da retoriche buoniste che non saranno in grado di proiettarci verso il futuro con un serio welfare partecipato al passo coi tempi e con le necessità ed i bisogni dei cittadini.

Terzo settore che può e deve essere consapevole del ruolo decisivo che ricopre ad ogni livello per vincere la sfida della concretezza per la coesione della comunità nazionale, la formazione delle giovani generazioni, il sostegno alle persone in difficoltà e i rapporti internazionali del nostro Paese.

Indubbiamente occorre coraggio, ma non è più il tempo in cui alle parole non seguano atteggiamenti seri e coerenti. Tutti, nel 2020 alle porte, dovremmo sforzarci di fare la propria parte e ripartire dalle idee e dalle azioni.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

Partecipazione giovanile: passione, consapevolezza e responsabilità

Sono giornate importanti per la “partecipazione”, non sono poche le manifestazioni e le iniziative promosse per discuterne e favorirla.

Parallelamente si avverte forte l’esigenza di promuoverla tra i giovani al fine di supportarli nel loro percorso d’inclusione nei processi decisionali delle comunità e nel saper cogliere le opportunità di crescita culturale e professionale che le istituzioni offrono a vari livelli.

Molti giovani, grazie soprattutto anche al variegato mondo del terzo settore, raccolgono questa sfida spinti da passione ed entusiasmo, ma sarebbe opportuno riflettere sul ruolo che una classe dirigente degna di questa nome debba svolgere nel confronto con questa realtà.

Non ci si può più sottrarre alla sfida del coinvolgimento dei giovani in percorsi di partecipazione che provino a raggiungere il giusto equilibrio tra passione, consapevolezza e responsabilità.

Queste ultime sono fondamentali per raggiungere risultati durevoli ed in grado di lasciare un segno tangibile nella vita degli attori coinvolti.

Non è più il tempo di limitarsi ad invitare i giovani a partecipare in modo generico o proporre loro opportunità in modo quasi sconnesso dai contesti in cui essi si formano e vivono le proprie esperienze quotidiane.

Occorre, al contrario, offrire loro la possibilità di acquisire consapevolezza del reale ruolo degli strumenti di partecipazione che le istituzioni democratiche hanno saputo elaborare e, conseguentemente, ad avere responsabilità del proprio compito all’interno di tali percorsi spingendoli a lavorare su temi e contenuti adeguati alle diverse situazioni.

Ad esempio: come dovrebbero funzionare i forum comunali?
Quale il loro ruolo reale oltre l’organizzazione di momento ludici?

Non raccogliere tale sfida aumenterebbe il rischio di vedere sprecata (tranne rare eccezioni) la forza vitale della passione giovanile in tante iniziative incapaci di produrre reale cambiamento e partecipazione nella comunità.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

La sfida dei prossimi anni: giovani tra volontariato e fiducia nelle istituzioni

Tra i dati emersi dal rapporto giovani 2019 della Fondazione Toniolo ad attirare particolarmente l’attenzione sono quelli che fotografano il rapporto dei giovani con l’impegno nel volontariato e più in generale la loro partecipazione sociale. Il 60,5 % dei giovani interpellati non ha mai svolto attività di volontariato, percentuale che arriva al 78% tra coloro che non hanno almeno un diploma. Inoltre, solo il 5,7 % dei giovani afferma di essere impegnato in tali attività in modo continuativo. Questi dati ci offrono la possibilità di provare a delineare qualche proposta al fine di creare i presupposti per un futuro diverso del rapporto dei giovani con le istituzioni e del loro coinvolgimento nei processi decisionali.

Nel rapporto Toniolo si evidenzia chiaramente come i giovani, tra tutte le istituzioni, mostrino maggiore fiducia (seppure appena sufficiente) nei confronti della scuola e del volontariato: da questo dato i decisori politici potrebbero avviare un periodo di riforma nei programmi scolastici prevedendo maggiori sinergie con gli enti del terzo settore a partire dalla scuola primaria o dalla scuola secondaria di primo grado.  Tali sinergie dovrebbero essere organizzate per evitare che diventino fortino ideologico di pochi, ma impegno concreto e reale per stimolare nei giovani la maturazione di un pensiero critico che abbia sempre presente l’importanza del sostegno al prossimo. 

Il terzo settore ed il volontariato diventerebbero fonte di apprendimento costante di soft skill da riutilizzare per l’inserimento nel mondo del lavoro o la scelta di percorsi di alta formazione. Il ruolo del volontariato non si esaurirebbe con queste iniziative, ma avvierebbe i giovani alla “partecipazione” con maggiore consapevolezza e fiducia.

Dal rapporto Giovani 2019 risulta chiaro che i giovani impegnati in azioni di partecipazione siano in realtà sfiduciati rispetto al reale impatto che esse possano avere sulla società. Su questo non posso che esprimere un personale giudizio negativo di come siano considerati gli strumenti di partecipazione di cui i giovani potrebbero beneficiare.  Penso ai Forum comunali in cui i giovani sono, nel migliore dei casi, spronati ad essere una bella copia “istituzionale” di associazioni culturali o ricreative.

Non mancano grandi esempi di serietà nati dalla consapevolezza di singoli illuminati (provenienti dai più diversi percorsi formativi e politici), ma non è più concepibile, considerato lo stato in cui siamo, sperare in singole ed isolate avventure di successo.  Sono troppe, infatti, le opportunità non colte in questo ambito: da una reale formazione personale alla possibilità di migliorare i contesti in cui si vive avviando reali percorsi di cittadinanza attiva usufruendo di fondi nazionali ed europei. 

La volontà dei giovani di mettersi al servizio della comunità è un grande potenziale e non dovrebbe essere sprecato. Perché non provare a riorganizzare i percorsi di partecipazione giovanile promuovendo in modo serio anche una formazione sul tema dei decisori politici? Troppo spesso essi sono i primi a non conoscere le grandi possibilità offerte dagli strumenti che si ritrovano ad organizzare e coordinare una volta arrivati ai vertici delle istituzioni. Ne gioverebbero i giovani e ne trarrebbero grande vantaggio proprio le istituzioni il cui compito, oggi, è recuperare la fiducia persa nel corso degli anni soprattutto da parte di coloro che rappresentano, senza tanti giri di parole, realmente il futuro del nostro Paese (in una scala da 1 a 10 la fiducia dei giovani nelle istituzioni politiche è pari al 3.9 %).

Pubblicato su: Servizio Civile Magazine

La difficile stagione del volontariato

Non sarà un cambio di governo (in realtà di parte della maggioranza) a rilanciare la fiducia nel terzo settore. Certo le “agende, i buoni propositi e le linee programmatiche” rappresentano sempre un punto di partenza, ma restano spesso lettera morta perché legate di frequente solo alla narrazione ed alla rappresentazione che si vuole consegnare al Paese della propria esperienza politica.

Come sempre contano i fatti, le applicazioni delle leggi e la realtà quotidiana di ogni cittadino che, nonostante i propri rappresentanti, si ritrova a vivere circostanze e situazioni a volte diverse da ciò che il legislatore ha in mente quando promulga una legge o un regolamento.

Se una parte del terzo settore (quella che trova più spazio nei circuiti mediatici) insiste con le narrazioni assolutorie e lontane dalla realtà non può recuperare la fiducia che gli italiani, i giovani soprattutto, hanno smarrito nei suoi confronti. Se continua ad adagiarsi solo ed esclusivamente su elementi divisivi e ideologici, anziché contribuire al consolidamento di legami solidali tra i cittadini finirà solo per acuire le distanze.

A risentirne sarà maggiormente il volontariato – vera grande anima del terzo settore – che si prepara a vivere una lunga stagione in cui dovrà recuperare la credibilità perduta sin dal momento in cui, dagli operatori del terzo settore fino ad arrivare ai decisori politici, é stato considerato solo come un ulteriore “pezzo” da utilizzare per il profitto economico e politico a scapito dello spirito sincero di solidarietà che anima migliaia di volontari.

Un esempio banale, conosciuto da tutti, ma che spesso viene letteralmente ignorato per convenienza: quante sono le associazioni nate sui territori per fare semplicemente clientelismo? Provate a chiederlo ai tanti volontari, progettisti ed operatori che giorno dopo giorno vedono mortificato il proprio impegno da scelte di piccole e grandi amministrazioni che, pur nella legittimità e nell’esercizio del proprio mandato, per motivi ideologici e anche d’incompetenza scelgono di finanziare progetti ed iniziative che non hanno ricadute, rispondono a pregiudizi ideologici o, peggio ancora, nemmeno vengono realizzati.

Sotto questi ed altri colpi la fiducia è crollata ed il primo a risentirne è stato proprio il volontariato. Da sempre per ripartire e recuperare il tempo perduto non occorre fare voli pindarici o affidarsi ai massimi sistemi, basta guardarsi dentro. La storia non aspetta i ritardatari.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

Dalla crisi al futuro, le occasioni da cogliere dal non profit

La crisi di governo è stata accolta con un moderato entusiasmo da una parte del terzo settore che nei mesi legislatura guidata dalla maggioranza gialloverde più di tutti si è sentita, per così dire delegittimata, dalle politiche. Inutile nasconderlo. Le polemiche con i due vice-premier Salvini e Di Maio, rispettivamente Ministro dell’Interno e Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sono state pressoché quotidiane.

Tuttavia questo moderato entusiasmo di chi ora spera in una nuova visione governativa rispetto a certi temi, un ritorno al passato per certi versi, rischia però di alimentare ulteriori divisioni e diffidenza e spaccare il terzo settore.

Piaccia o meno, al di là dalle legittime posizioni politiche di ciascuno, il mondo è cambiato a prescindere da Salvini e Di Maio: non è loro la colpa se il mondo delle ONG e più in generale del terzo settore (specialmente il volontariato) siano percepiti in modo negativo e come una semplice fetta di gestione clientelare ed ideologica.

Sono tanti, troppi gli errori del presente e del passato che hanno spinto parte degli italiani a questa considerazione e si badi bene che a questa fetta di popolazione appartengono numerosissimi operatori del terzo settore cresciuti proprio nel mondo che ora auspica un cambio di paradigma governativo senza fare davvero i conti con il proprio passato anche recente. Troppe le conventicole che hanno imposto la propria forza e le proprie relazioni in modo acritico emarginando spesso la parte sana degli attori del non profit.

Sarebbe auspicabile superare logiche di parte che penalizzano tutti, soprattutto le strutture minori che sono la vera spina dorsale della sussidiarietà italiana (non dell’assistenzialismo), e avviare – dopo la Riforma – anche un cambio di passo culturale nel mondo del non profit.

Dei metodi e delle applicazioni di alcune idee si può dibattere, ma senza chiarezza e analisi critica si rischia di perdere seriamente di vista i reali principi ispiratori che hanno reso l’Italia storicamente la patria del terzo settore e con essi la credibilità che tale mondo ancora vanta.

Occorre saper guardare avanti con serietà soprattutto perché il prossimo Governo (qualsiasi esso sia) dovrà ultimare la Riforma del Terzo Settore e sono diversi i provvedimenti in attesa di essere approvati o affrontati nel dettaglio non solo rispetto al nuovo schema legislativo: l’aumento dei fondi per il servizio civile, la gestione degli enti ai sensi della Riforma, il ruolo della certificazione e delle competenze per i volontari. Per parte nostra continueremo a chiedere ai decisori politici provvedimenti che supportino le piccole e medie organizzazioni del terzo settore le cui attività sono realmente decisive per la coesione sociale e procedono spesso in assenza delle istituzioni tra mille sacrifici personali: la compensazione dell’IVA per gli enti non commerciali e la stipula di protocolli d’intesa con gli istituti bancari che possano dare credito alle numerose realtà territoriali per far partire progetti ed attività importanti per i cittadini sarebbero degli ottimi segnali.

Una nuova stagione è già cominciata, non rincorriamo le divisioni del passato, ma accettiamo la sfida del cambiamento riconoscendo gli errori fatti e avviandoci nel futuro.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

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