La vicenda della “Sea watch” e dello scontro dei due “Capitani”, Carola Rackete ed il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha offerto la possibilità ad Ipsos di verificare la fiducia da parte degli italiani nei confronti non solo delle ONG, ma di tutto il terzo settore

Rilevando il crollo di fiducia generalizzato nei confronti delle ONG, Pagnoncelli è andato oltre e, come riportato dal Corriere della Sera lo scorso 6 luglio, evidenziava come <<… a ciò si aggiunge il crollo di fiducia nei confronti delle organizzazioni non profit, che passa dall’80% del 2010 al 39% odierno. Il discredito colpisce duramente un intero settore che non comprende solo le ong impegnate nei soccorsi in mare e nell’accoglienza dei migranti, ma rappresenta oltre 340mila realtà che operano nei settori più disparati, dai servizi alla persona (infanzia, anziani, disabili, ecc.) alla cultura, dallo sport alla cooperazione internazionale>>.Ad offrire subito una risposta ed un contributo alla riflessione nel merito, avviatasi in vero già da qualche tempo, ha provveduto Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore dalle pagine di Corriere Buone Notizie.La portavoce del principale ente rappresentativo del mondo del terzo settore, ritenendo che quanto evidenziato da Pagnoncelli sia da riferirsi alla narrazione negativa che si è affermata in merito all’azione delle ONG, invita giustamente anche a guardare alla fotografia che ci ha presentato recentemente l’ISTAT: è in crescita << l’iniziativa civica organizzata dei cittadini italiani>>.Non solo, Claudia Fiaschi ha ribadito quanto siano in crescita gli italiani che scelgono di donare il 5X1000 ad enti no-profit (siamo arrivati a 10 milioni).

Tutto vero e non sarebbe possibile essere in contraddizione con la portavoce del Forum Nazionale, però in un periodo nel quale è in pieno svolgimento l’attuazione della Riforma del terzo settore occorre porsi qualche domanda sul perché una parte consistente d’Italiani guardi con non più totale fiducia al mondo del non profit.Diviene ancora più importante nel momento in cui da più parti, tra gli estensori della Riforma, si richiede ai protagonisti del terzo settore di maturare e prendere consapevolezza della forza “economica” e dell’incidenza sul PIL che essi rappresentano.

Se è vero che occorre guardare avanti senza paura di smarrire l’identità del no-profit in un mondo che cambia, risulta altrettanto vero evitare di puntare ad una narrazione che abbia il suo cardine nell’economico considerando che gran parte dell’anima del terzo settore risiede in una spinta emotiva e volontaristica verso l’altro e la società.

Non possiamo dimenticarlo.I giorni che viviamo devono diventare importanti non solo sotto l’aspetto legislativo e regolativo per un parte di Paese che attendeva da anni un quadro normativo chiaro e organizzato, ma anche per fare i conti con tutti quegli equivoci del non profit che hanno contribuito a portare una parte della comunità a non guardarlo con la fiducia pressoché totale di un tempo.

Sicuramente è alta e diffusa la sete di partecipazione, ma nasce dalla crisi che proprio il mondo della politica e della stessa società civile stanno attraversando. Non è un caso che gran parte dei giovani, da sempre spinta propulsiva di ogni comunità, vivano il mondo del volontariato con meno fiducia rispetto al reale impatto che esso potrebbe avere e sopratutto non lo sentano più come un’avventura comunitaria, ma solo come esperienza individuale. Al più utile per sviluppare soft skill.

Occorre guardare negli occhi i problemi: quanti sono gli scandali o le condotte poco chiare che vedono come protagonisti gli enti del non profit? Sarebbe superfluo citare alcuni recenti ed inquietanti fatti di cronaca.

Il terzo settore può contribuire a rilanciare la coesione sociale ed offrirle solide fondamenta poiché è nei fatti il primo ed anche ultimo spazio in cui una persona esprime e vive il proprio credo valoriale, ma non può diventare un mero fortino clientelare ed ideologico perché viene vuotato della forza propulsiva che gli deriva dall’esercizio libero ed immediato delle proprie idee e dei propri ideali.

Sono troppe, al contrario, le conventicole che hanno strumentalizzato il mondo del non profit trascinandolo a turno nelle lotte di potere e negli scontri politici per occupare spazi e gestione della solidarietà.

C’è bisogno di grandi atti di coraggio per organizzare la speranza che viene dalla vasta e disinteressata voglia dei singoli volontari e protagonisti del mondo del terzo settore di mettersi al servizio del prossimo e della propria comunità.

Nonostante i numeri siano ancora positivi e la base di volontari sia molto ampia, non possiamo lasciare inascoltato il segnale che arriva dal basso e dalla comunità profonda (colto anche dal sondaggio di Pagnoncelli): è alta la paura di offrire il proprio tempo a strutture organizzate poiché timorosi che queste siano solo intente a gestire fette di potere senza agire concretamente per il cambiamento sbandierato.

Cogliamo dunque la sfida ed impegniamoci a liberare il terzo settore dalle ideologie, rendendolo spazio autentico di crescita, libertà, confronto e soprattutto azione.

Pubblicato su: Istituzioni24.it