“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive” - F.Dostoevskij

Coinvolgere i giovani: una sfida per le classi dirigenti

Nel giorno di Ferragosto dalle pagine del Corriere della SeraFrancesco Giavazzi ha invitato la politica alla su cosa davvero, con le proprie scelte, stia lasciando ai giovani e più propriamente ad ascoltare i dieci milioni di giovani che non hanno ancora maturato il diritto di voto.

Potremmo tranquillamente sintetizzare, di là dai singoli e specifici “allarmi” sui debiti che si stanno consegnando alle giovani generazioni, che il prof. Giavazzi con il suo editoriale abbia ancora una volta richiamato la politica e le classi dirigenti a tenere presente che il proprio compito, in nome della responsabilità, non sia pensare cinicamente agli interessi del presente, ma costruire condizioni favorevoli per coloro che verranno.

Sicuramente l’invito all’ascolto non dovrebbe essere lasciato cadere nel vuoto, ma occorrerebbe anche evitare di creare troppe aspettative da questa attività e di consegnare ai minori un carico eccessivo di responsabilità.

Non si può, infatti, ignorare che la strada che ci ha portato ad oggi e a queste considerazioni sia lastricata probabilmente di errori e lacune nei percorsi educativi e formativi offerti ai ragazzi.

Proprio recentemente, la politica, ha iniziato a rispondere a tali problemi riproponendo l’educazione civica nelle scuole e questo, occorre tenerlo a mente, non è avvenuto per caso. Sono numerosi i giovani smarriti senza esempi – culturali ed educativi – che si distinguono quotidianamente per azioni altamente negative (senza che esse arrivino agli onori delle cronache).

La società attuale appare spesso nichilista (le passate ed attuali classi dirigenti hanno offerto in tal senso un contributo molto serio) e ciò non può lasciarci indifferenti. Ma non basta l’ascolto di chi, probabilmente, non è pienamente e veramente consapevole delle condizioni del Paese che vive, per uscirne.

Occorrerebbe una grande visione della comunità che si vuole costruire. Le sfide dell’ambiente ed il debito pensionistico che il prof. Giavazzi richiama sono solo degli aspetti da dover affrontare, ma non possiamo limitarci a questo.

Una grande visione del futuro e della comunità cui tendere non può prescindere dal fatto che a fronte di tanti ragazzi capaci, svegli e preparati c’è una stragrande maggioranza di quei 10 milioni di giovani che ancora non votano (estenderei la considerazione anche a gran parte di chi ha maturato da qualche anno il diritto di voto) che ha bisogno di esempi concreti e strumenti reali di educazione alla partecipazione.

Anche il più recente rapporto sui giovani della Fondazione Toniolo ci consegna una fotografia non positiva delle Giovani generazioni. Soprattutto nell’impegno e nella speranza del futuro.

Inutile cedere alla tentazione di narrazioni mediaticamente ricche di attrattività se vogliamo migliorare questa condizione.

Il tempo perduto lo si recupera con la consapevolezza e l’operatività quotidiana per un cambio di direzione. Facendo riacquistare fiducia da parte dei giovani nelle classi dirigenti (prima tutti i loro appartenenti dovrebbero ricordarsi di onorare il proprio ruolo), ma anche aiutandoli a crescere consapevoli che: la vita è sacrificio e accettazione delle condizioni date per provare a migliorarle, esiste la sconfitta, l’educazione e lo studio sono fondamentali e non inutili accessori del vivere in società, la responsabilità è qualcosa che riguarda tutti e non solo gli altri – siano essi politici o chiunque abbia un ruolo dirigenziale e/o educativo.

Per ultimo aiutandoli ad essere capaci di sognare e coltivare la speranza che non tutto è scritto, ma con le proprie azioni magari non è possibile cambiare il destino del mondo, ma sicuramente quello del contesto, grande o piccolo che sia, in cui vivono.

Ci rendiamo conto che, nonostante le numerose opportunità offerte dalle istituzioni che i giovanissimi potrebbero cogliere (programmi Erasmus, bandi di ogni genere), sono davvero pochi coloro i quali le conoscono e si propongono e ciò, spesso, non è dovuto alla responsabilità della poca comunicazione da parte delle istituzioni o degli enti?
Probabilmente non ne siamo pienamente consapevoli.

Bene stanno facendo ad esempio alcune istituzioni come l’Agenzia Nazionale Giovani a scendere nelle piazze ed interloquire direttamente con i giovani, ma a ben guardare, purtroppo, prendono parte a questa e ad altre campagne ancora ristrette minoranze.

Se guardiamo poi al servizio civile, esperienza di crescita e formazione che potrebbe essere al centro dei nuovi percorsi di cui si parlava, spesso molti enti non ricevono domande di partecipazione tali da soddisfare il numero di posti annualmente disponibili. Ancora una volta non è solo responsabilità delle istituzioni e degli enti attuatori dei progetti.

La vera sfida da vincere è quindi quella di porsi in ascolto dei più giovani, ma offrendo loro gli strumenti e le conoscenze in grado di aiutarli a coltivare e maturare non solo le competenze, ma la capacità di essere responsabili compiutamente dei percorsi e delle scelte della propria vita senza cedere ad alibi, nonostante le difficoltà, nonostante il mondo nichilista che spesso li circonda e che li spinge a fare il contrario perché “tanto alla fine nulla potrà cambiare”.

È una sfida titanica, ma può cominciare ad essere vinta solo se ad essere consapevoli della realtà saremo prima noi adulti.

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Terzo settore: lavorare insieme per riscoprirne il significato e valorizzarne i risultati

Mai come negli ultimi mesi il terzo settore sembra essere tra gli argomenti principali del dibattito pubblico

Dall’attesa dei decreti e delle circolari esplicative della Riforma passando per diversi casi di cronaca fino ad arrivare alle polemiche politiche, ogni settimana il terzo settore assume uno spazio significativo e impegna gli addetti ai lavori ed i cittadini in confronti più o meno pacati circa il ruolo che esso svolge per il nostro Paese.

Recentemente il Ministro Di Maio, spinto da alcuni fatti di cronaca, ha espresso un pensiero molto chiaro “Questi scandali sempre più spesso accadono quando lo Stato si ritira dando spazio a imprese, cooperative, Onlus magari politicamente o ideologicamente vicine, con una esternalizzazione o peggio privatizzazione dei servizi pubblici. Questo processo lo abbiamo già visto in diversi casi”. Tale osservazione ha, naturalmente, mobilitato la risposta di numerosi rappresentanti del terzo settore che hanno fatto notare come da sempre proprio dal variegato mondo del non profit siano arrivate richieste di maggiori controlli e applicazione delle regole in nome della trasparenza.

Pur condividendo nel merito la risposta al Ministro Di Maio ed il conseguente invito a non generalizzare, bisognerebbe pur considerare che, probabilmente, questo momento storico può essere vissuto come una grande opportunità in termini di consapevolezza e rilancio per tutto il mondo del terzo settore. Non è solo “colpa” della politica o delle “pecore nere” dell’universo non profit se gli italiani tendano a fidarsi sempre meno del terzo settore nonostante gli sforzi quotidiani immensi di tante piccole realtà sui territori. Spesso l’approccio ideologico ha davvero viziato alcune attività facendo venire meno l’applicazione del principio di sussidiarietà in modo chiaro e compiuto e con la persona ed i suoi bisogni al centro del proprio operato.

Sicuramente la presenza di regole certe e di controlli rigidi potrà aiutare, ma occorre una grande operazione nazionale di rilancio del nostro mondo. Una nuova narrazione non viziata dalle amicizie politiche o di comodo, ma ancorata al reale e mossa dalla volontà di dare davvero voce a ogni latitudine al grande impegno dei tantissimi operatori seri del terzo settore.

Un vero e proprio cambio di paradigma non più procrastinabile. Uno studio evidenziato da Eurostat ha acceso un ulteriore campanello d’allarme: in una speciale classifica venuta fuori da una più vasta indagine EU SILC sulla partecipazione e l’integrazione sociale, l’Italia è la nazione europea con la percentuale più alta di persone che affermano di non avere nessuno a cui rivolgersi in caso di necessità (il 13.2 % del campione intervistato che sale al 17% se consideriamo le persone con basso livello d’istruzione).

Sicuramente, come mostra anche lo studio, su tali percentuali influiscono anche il livello d’istruzione ed il reddito personale, ma non possiamo pensare che il crollo di fiducia verso il non profit sia totalmente estraneo all’esito di questa indagine. Tutto questo accade nonostante la realtà di tanti esempi virtuosi realmente vicini ai cittadini.

Lo studio appena citato mette anche in evidenza dei dati sulla partecipazione che trovano riscontro in numerose altre indagini più recenti: si fa strada un’idea d’impegno sociale individuale vissuto al di fuori di strutture organizzate ed impegnate in nome di un obiettivo chiaro. I Paesi del Nord su questo sono capofila, ma in Italia c’è, ormai, una sostanziale parità tra la percentuale di coloro che s’impegnano in modo non formale e quelli attivi in strutture organizzate. Non è necessariamente un male, ma sicuramente ciò offre uno spunto di riflessione ulteriore circa la percezione del valore d’impegnarsi in comunità per finalità più alte ed importanti. Tanto più che a livelli assoluti l’Italia, da questa indagine, risulta essere non ai primi posti per l’impegno nel volontariato e più in generale nella partecipazione sociale (rispettivamente 17mo posto per numero di cittadini attivi in strutture organizzate e 22mo posto per cittadini operativi in modo individuale).

Non possiamo fingere che nulla sia accaduto nel Paese negli ultimi anni e continuare a pensare che i problemi e le colpe siano sempre e solo frutto delle azioni e le scelte di una parte.

Se c’è una cosa che il terzo settore insegna, in particolar modo il volontariato, è la possibilità di raggiungere grandi obiettivi lavorando con coesione e spirito di sacrificio in nome di valori condivisi in grado di mettere da parte le differenze poiché ciò che conta è risolvere i problemi. Pertanto, più che continuare in uno sterile teatrino di scambi reciproci di accuse e responsabilità è, probabilmente, giunto il tempo di andare oltre le divisioni e iniziare a lavorare insieme per ricostruire, oltre ogni forma e tossina ideologica, il senso di appartenenza a una comunità che ha sempre avuto nella solidarietà una delle sue stelle polari.

Fonte: Dati Eurostat

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Fiducia e credibilità: il futuro del terzo settore oltre i sondaggi

La vicenda della “Sea watch” e dello scontro dei due “Capitani”, Carola Rackete ed il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha offerto la possibilità ad Ipsos di verificare la fiducia da parte degli italiani nei confronti non solo delle ONG, ma di tutto il terzo settore

Rilevando il crollo di fiducia generalizzato nei confronti delle ONG, Pagnoncelli è andato oltre e, come riportato dal Corriere della Sera lo scorso 6 luglio, evidenziava come <<… a ciò si aggiunge il crollo di fiducia nei confronti delle organizzazioni non profit, che passa dall’80% del 2010 al 39% odierno. Il discredito colpisce duramente un intero settore che non comprende solo le ong impegnate nei soccorsi in mare e nell’accoglienza dei migranti, ma rappresenta oltre 340mila realtà che operano nei settori più disparati, dai servizi alla persona (infanzia, anziani, disabili, ecc.) alla cultura, dallo sport alla cooperazione internazionale>>.Ad offrire subito una risposta ed un contributo alla riflessione nel merito, avviatasi in vero già da qualche tempo, ha provveduto Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore dalle pagine di Corriere Buone Notizie.La portavoce del principale ente rappresentativo del mondo del terzo settore, ritenendo che quanto evidenziato da Pagnoncelli sia da riferirsi alla narrazione negativa che si è affermata in merito all’azione delle ONG, invita giustamente anche a guardare alla fotografia che ci ha presentato recentemente l’ISTAT: è in crescita << l’iniziativa civica organizzata dei cittadini italiani>>.Non solo, Claudia Fiaschi ha ribadito quanto siano in crescita gli italiani che scelgono di donare il 5X1000 ad enti no-profit (siamo arrivati a 10 milioni).

Tutto vero e non sarebbe possibile essere in contraddizione con la portavoce del Forum Nazionale, però in un periodo nel quale è in pieno svolgimento l’attuazione della Riforma del terzo settore occorre porsi qualche domanda sul perché una parte consistente d’Italiani guardi con non più totale fiducia al mondo del non profit.Diviene ancora più importante nel momento in cui da più parti, tra gli estensori della Riforma, si richiede ai protagonisti del terzo settore di maturare e prendere consapevolezza della forza “economica” e dell’incidenza sul PIL che essi rappresentano.

Se è vero che occorre guardare avanti senza paura di smarrire l’identità del no-profit in un mondo che cambia, risulta altrettanto vero evitare di puntare ad una narrazione che abbia il suo cardine nell’economico considerando che gran parte dell’anima del terzo settore risiede in una spinta emotiva e volontaristica verso l’altro e la società.

Non possiamo dimenticarlo.I giorni che viviamo devono diventare importanti non solo sotto l’aspetto legislativo e regolativo per un parte di Paese che attendeva da anni un quadro normativo chiaro e organizzato, ma anche per fare i conti con tutti quegli equivoci del non profit che hanno contribuito a portare una parte della comunità a non guardarlo con la fiducia pressoché totale di un tempo.

Sicuramente è alta e diffusa la sete di partecipazione, ma nasce dalla crisi che proprio il mondo della politica e della stessa società civile stanno attraversando. Non è un caso che gran parte dei giovani, da sempre spinta propulsiva di ogni comunità, vivano il mondo del volontariato con meno fiducia rispetto al reale impatto che esso potrebbe avere e sopratutto non lo sentano più come un’avventura comunitaria, ma solo come esperienza individuale. Al più utile per sviluppare soft skill.

Occorre guardare negli occhi i problemi: quanti sono gli scandali o le condotte poco chiare che vedono come protagonisti gli enti del non profit? Sarebbe superfluo citare alcuni recenti ed inquietanti fatti di cronaca.

Il terzo settore può contribuire a rilanciare la coesione sociale ed offrirle solide fondamenta poiché è nei fatti il primo ed anche ultimo spazio in cui una persona esprime e vive il proprio credo valoriale, ma non può diventare un mero fortino clientelare ed ideologico perché viene vuotato della forza propulsiva che gli deriva dall’esercizio libero ed immediato delle proprie idee e dei propri ideali.

Sono troppe, al contrario, le conventicole che hanno strumentalizzato il mondo del non profit trascinandolo a turno nelle lotte di potere e negli scontri politici per occupare spazi e gestione della solidarietà.

C’è bisogno di grandi atti di coraggio per organizzare la speranza che viene dalla vasta e disinteressata voglia dei singoli volontari e protagonisti del mondo del terzo settore di mettersi al servizio del prossimo e della propria comunità.

Nonostante i numeri siano ancora positivi e la base di volontari sia molto ampia, non possiamo lasciare inascoltato il segnale che arriva dal basso e dalla comunità profonda (colto anche dal sondaggio di Pagnoncelli): è alta la paura di offrire il proprio tempo a strutture organizzate poiché timorosi che queste siano solo intente a gestire fette di potere senza agire concretamente per il cambiamento sbandierato.

Cogliamo dunque la sfida ed impegniamoci a liberare il terzo settore dalle ideologie, rendendolo spazio autentico di crescita, libertà, confronto e soprattutto azione.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

Educare al bene: raccontare il terzo settore ed esempi positivi per il futuro della comunità

Ogni giorno da più parti, nell’epoca del quasi totale predominio del sistema mediatico, ci raggiungono notizie di scandali, attacchi personali e di apparato, cronaca nera, mentre le belle storie piene di valori positivi sembrano essere rare e comunque prive del cosiddetto “appeal” delle notizie importanti che le renderebbe meritevoli di attenzioni e delle prime pagine.
Numerose volte questa osservazione è stata fatta, anche da autorevoli osservatori e commentatori, eppure nel momento in cui viviamo tempi in cui un giovane su tre non comprende ciò che legge ed in cui è ormai regola la sfiducia nel mondo delle istituzioni forse potrebbe essere arrivato il momento di cominciare ad individuare nuove strade da percorrere per ribaltare il tavolo e migliorare il corso delle cose.
È importante per il futuro della nostra comunità.
Tante volte, ormai troppe, ci si è persi in discussioni e ragionamenti sterili viziati il più delle volte da un approccio ideologico senza mai provare ad ascoltare davvero i problemi che arrivavano dalla nostra comunità in progressivo deterioramento e livellamento verso il basso.
È tempo di un patto generazionale ed interprofessionale che preveda la valorizzazione delle innumerevoli esperienze quotidiane positive che restano sempre ai margini delle narrazioni, lo stimolare al dono ed al volontariato i giovani ed in generale ricollocare ai vertici del vivere in comunità la bellezza dell’educazione.
Immaginiamo percorsi educativi realmente sinergici e forti tra istituzioni e terzo settore, portiamo i nostri giovani nei luoghi del dolore e del sacrificio. Non cediamo alla tentazione del mediatico e delle narrazioni utili solo a fare audience, ma prive di fondamento educativo e pronte a tornare al loro reale valore quando le luci della ribalta si spengono.
Ripristiniamo il rispetto delle regole, del buon senso, del limite e dell’autorità.
Non è più possibile accettare, senza colpo ferire, che l’unico metro assoluto di valutazione sia il soddisfacimento individuale pieno e totale perché in questo modo è a rischio la tenuta dell’intera comunità.
La realtà bussa alla porta e non concede sconti.
Dovrebbero saperlo bene proprio i sacerdoti ed i seguaci dell’individualismo che da sempre sono concentrati a “risparmiare” sul conto da pagare poiché consapevoli del fatto che prima o poi arrivi.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

Il volontariato per la crescita dei giovani ed il futuro dell’Italia

Dalla società civile si registra sempre più di frequente il segnale della necessità di reintrodurre l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole (l’ultimo esempio: l’iniziativa lanciata lo scorso anno da ANCI con la raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare o la proposta di legge presentata lo scorso 6 dicembre dalla Lega). Sicuramente, se ciò avvenisse in un modo serio, potrebbe essere un’ottima cosa per aiutare le giovani generazioni ad orientarsi alla tutela della comunità ed al rispetto. 

Tuttavia oltre la scuola e le famiglie cui resta la responsabilità principale dell’educazione dei giovani, non bisogna dimenticare il ruolo che il mondo dell’associazionismo può recitare nel completare la formazione dei giovani in un periodo ci si interroga quotidianamente sulla necessità di offrire ai giovani esperienze al passo con i tempi. Percorsi che sappiano far maturare in essi la coscienza di una comune appartenenza e la necessità di un impegno quotidiano condiviso a tutela dei più deboli, della cultura e della coesione sociale nella valorizzazione delle diversità.

Il volontariato, di qualsiasi natura esso sia, aiuta i giovani ad entrare in contatto con lo stare in comunità in vista di un obiettivo condiviso. Un obiettivo che può essere raggiunto solo se gli attori coivolti svolgono il proprio compito rispettando le regole ed i compagni di viaggio.

Non tutti i giovani pensano che “è tutto un magna magna”. In tanti credono che sia importante e possibile impegnarsi in prima persona per migliorare le cose in Italia: il 73,8 % degli intervistati mostrava tale convinzione e il 67,7% presentava una spiccata attitudine al cambiamento (Rapporto giovani 2018, Istituto Toniolo).

Posizioni che confermano anche quanto emerso nel 2014, sempre dai lavori dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, ove a fronte di una platea giovanile molto amplia dichiaratasi totalmente priva di esperienze di volontariato, si è registrata una grande richiesta di partecipazione sociale. 

Il mondo del terzo settore può e deve rispondere a tale richiesta perché il volontariato educa alla dignità del sacrifico, all’importanza del rispetto della parola data e delle disposizioni ricevute in vista dello svolgimento di un compito ed incarna quindi pienamente l’esigenza di partecipazione e crescita sociale.

Tale percorso di crescita personalesi arricchisce con l’apprendimento di conoscenze e competenze che possono risultare più che utili per l’inserimento nel mondo del lavoro. Ed il legislatore se ne è accorto. La recente riforma del Servizio Civile Universale giunta ormai ad attuazione, ad esempio, ha introdotto, dopo anni di confronto in sede europea e nazionale, la certificazione delle competenze acquisite dai giovani nello svolgimento delle attività di volontariato e durante il servizio civile. 

Il mondo del volontariato e dell’impegno civile si candida quindi a recitare un ruolo da protagonista per la crescita delle giovani generazioni italiane e quindi per la costruzione di un futuro migliore per la nostra comunità nazionale.

pubblicato su: Servizio Civile Magazine

Terzo Settore per la crescita: un’opportunità da cogliere

In materia di terzo settore sono due le notizie che segnalerei con maggiore attenzione (in attesa del varo definitivo dei decreti attuativi a completamento della riforma avviata ormai nel lontano 2017): un’intervista al Presidente del CNEL Tiziano Treu e la pubblicazione dei risultati della ricerca di JOB4Good sul lavoratore tipo del terzo settore.
Esse rappresentano due ottimi spunti di partenza per avviare un ragionamento su come il terzo settore sia indubbiamente una grande occasione di crescita per il Paese, ma sia anche la fotografia di quanto – inutile ripeterlo – questa nostra nazione abbia due volti tra Nord e Sud.
Circa le idee espresse dal già Ministro del Lavoro penso sia opportuno fare un’osservazione: nell’intervista il presidente del CNEL si mostra entusiasta di come grazie alla diffusione delle imprese sociali e al loro guadagnare spazio sul mercato del lavoro il no-profit stia influenzando culturalmente il profit portandolo ad un avere una maggiore attenzione ai risvolti sociali delle attività aziendali. Senza dubbio questo è un merito, ma non sarebbe auspicabile focalizzare l’importanza del terzo settore al solo crescere del numero delle imprese sociali e della loro nobilissima mission. Non bisognerebbe dimenticare, infatti, ciò che già qualcuno in altre occasioni ha definito l’anima del terzo settore ovvero lo spirito volontario. Non possiamo ancora una volta porre in secondo piano l’aspetto solidale rispetto a quello del profitto. Anche perché il solo profitto o la sola diffusione di buone pratiche circa l’utilizzo degli utili delle imprese a favore di progetti dall’alto valore sociale non significano necessariamente crescita della comunità nel suo intero.
Esse rappresentano solo una parte delle potenzialità del terzo settore. Non dimentichiamoci che la Riforma del Terzo Settore nacque anche sull’onda l’emotiva tesa a contrastare l’arricchimento e la crescita di alcune conventicole che avevano considerato il mondo non profit un’altra via per arricchirsi, magari celando dietro il volto di solidarietà, obiettivi ben più meschini.
Altre volte si è richiamata l’attenzione su quanto, invece, tutto il variegato universo che costituisce il non profit sia una grande risorsa per il sistema Italia anche per le opportunità che offre in termini di partecipazione e formazione civica di tutta la comunità. Lo è ancor di più in un momento storico che vede arrivare da più parti la richiesta della reintroduzione dell’insegnamento dell’educazione civica: il mondo del volontariato è una grande occasione per i giovani di affrontare esperienze in grado di farli maturare ed entrare a contatto con le regole del vivere la comunità e tutelarla nel loro rispetto.
Tutto questo possono farlo impegnandosi in progetti di servizio civile nei più svariati ed importanti ambiti, dall’ambiente alla cultura passando per l’assistenza ai bisognosi, oppure in tutte quelle iniziative portate avanti in squadre intergenerazionali a favore degli anziani o della promozione della cultura della prevenzione. Senza mai dimenticare il grande lavoro che svolgono gli enti non profit valorizzando in modo positivo i beni confiscati alla criminalità organizzata.
Il terzo settore, così concepito e vissuto, è una grande palestra di cittadinanza in grado di unire le generazioni e soprattutto al Sud, grazie al grande lavoro delle associazioni di volontariato e di promozione sociale ha rappresentato un primo e fondamentale argine alla crisi economica e sociale. Tutto questo, oggi, non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo quando guardiamo al futuro. La stagione post ideologica può liberare energie e proposte oltre ogni steccato in un ambito che per troppo tempo è stato considerato ad appannaggio di una sola parte mentre altre lo guardavano con poco interesse, tranne rari ed importanti casi. Riconosciuta quindi l’importanza delle imprese sociali ed il ruolo che esse svolgeranno ora e nei prossimi anni nello sviluppo dei territori, perché non pensare a misure di sostegno rivolte ad esse ed alle associazioni in materia di lavoro?
Una sorta di rating sulle azioni svolte dagli enti no profit per il quale, ad esempio, i progetti ritenuti più utili alla crescita di un territorio, alla sua coesione sociale, al recupero del patrimonio artistico-culturale, all’assistenza dei più deboli offrono la possibilità agli enti del terzo settore di assumere usufruendo di sgravi sugli oneri contributivi o sulle tasse. Si potrebbe, una volta ultimato il percorso della riforma dal Governo, pensare anche ad un potenziamento della convenienza del sostegno al terzo settore da parte del profit e dei singoli cittadini. Naturalmente, i controlli dovrebbero essere stringenti, ma tali iniziative non farebbero altro che rafforzare la sussidiarietà, la partecipazione dei cittadini e al contempo creare nuove opportunità di lavoro per tutti, non solo per i giovani, specialmente al Sud.

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Terzo Settore fondamentale per la coesione sociale

La fine del 2018 e l’avvio del 2019 hanno regalato un’inaspettata, considerato passato e la consuetudine, attenzione mediatica al #terzosettore.
Un mondo variegato, composto da molte sigle e tipologie di enti che a vario titolo giorno dopo giorno contribuiscono alla coesione sociale di questo Paese.
Anche il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rimarcato quanto importante sia il ruolo che enti del terzo settore, dal volontariato alle imprese sociali, per migliorare l’Italia in nome di valori condivisi.
Un’attenzione improvvisa dovuta all’ormai famosa “tassa sul #volontariato” prevista nella finanziaria giallo-verde che, in realtà, è più propriamente l’annullamento dello sgravio IRES. Tale scelta del Governo Conte difatti mette a serio rischio molti servizi offerti dal mondo del terzo settore a chi è in difficoltà, sebbene, almeno a parole, sia il frutto di una voglia di “punire” quei furbetti, purtroppo ci sono, che svolgono attività volte esclusivamente al proprio profitto individuale mascherandole col “volontariato”.
Non è però questa la strada per contrastare i furbi e i farabutti, perché tali sono quelli che strumentalizzano il terzo settore per i propri guadagni, poiché equivale a sparare nel mucchio penalizzando tutti (operatori e beneficiari) per colpire una minoranza.
Tralasciando l’ultimo strafalcione di fine anno del Vice-Ministro Castelli che dimostra come non solo la competenza, ma anche un minimo di studio dell’analisi logica vada recuperato in questa Nazione, auspichiamo che il Governo cancelli subito il raddoppio dell’Ires così come promesso e inizi a guardare seriamente al terzo settore mettendo in campo azioni non punitive, ma proponendo strumenti che aiutino nel quotidiano gli enti nelle loro attività. Rilancio ancora una volta la proposta di una forma di compensazione IVA per le attività non commerciali (consentirebbe di recuperare importanti risorse sia per i piccoli che per i grandi enti).
Non dimentichiamo anche che lo Stato, le Regioni e i Comuni dovrebbero farsi carico di essere garanti presso le banche per consentire agli enti che vincono progetti importanti di assistenza, lotta alla povertà di farli effettivamente partire.
Spesso validissime, ma “piccole” organizzazioni non hanno risorse in cassa da cominciare a spendere o peggio ancora vantano crediti dagli enti pubblici per attività svolte e le banche non sono disposte a fare credito. Come possono anticipare?
Si tratta di una sussidiarietà mutilata che blocca, il più delle volte, azioni validissime si risposta ai bisogni delle persone e mortifica io lavoro di tanti volontari.
La crisi ha morso forte ed il terzo settore nel suo intero, con tutti i suoi operatori e volontari, è stata la parte di comunità che ha contribuito ad alimentare la speranza rappresentando anche uno spazio trasversale di valori positivi, libertà e confronto.
Merita, venute meno le ideologie e gli steccati, di essere riconosciuto per il ruolo che effettivamente svolge per tutte le generazioni.

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