“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive” - F.Dostoevskij

Categoria: Giovani

Terzo Settore è anche uno strumento per ridurre la sfiducia dei giovani verso le istituzioni

Il Rapporto Giovani 2020 edito dall’Istituto Toniolo ha offerto, come sempre, una valida fotografia della condizione giovanile in Italia. L’importanza di questo studio aumenta in questo anno segnato dalla maggiore precarietà imposta dalla pandemia in corso.

L’ultima edizione del report evidenzia il trend che ritroviamo purtroppo anche in altre importanti pubblicazioni recenti (cfr.l’ultimo rapporto Caritas) ovvero sono in aumento i giovani in condizioni di disagio economico. 

Non è solo questo dato che dovrebbe farci preoccupare, ma anche il contemporaneo gap tra giovani che riescono ad accedere a buoni e completi percorsi formativi e giovani con una formazione più debole e meno informati.

Su questa differenza lo studio annuale dell’Istituto Toniolo si sofferma molto, evidenziando come fino a questo momento le politiche dedicate ai NEET (non occupati, né inseriti percorsi formativi o di istruzione) abbiano portato a scarsi risultati: non può non destare preoccupazione il fatto che solo il 16,3% conoscesse una misura come il Reddito di Cittadinanza. A prescindere dal merito del provvedimento, esso rappresenta uno dei più importanti strumenti varati per contrastare la disoccupazione e aiutare le fasce deboli della popolazione. 

La polarizzazione tra giovani con migliori percorsi formativi ed opportunità ed altri con bagagli e riferimenti culturali meno solidi, incide sulla visione che essi hanno del futuro e anche sulla loro adesione a percorsi di partecipazione ed impegno. Tra i primi prevale, infatti, la consapevolezza della necessità di partecipare e concorrere alla costruzione della propria comunità di appartenenza, nei secondi invece sfiducia verso il futuro legata ad una forte disillusione sul peso del proprio impegno e voto per un reale e positivo impatto sulla società. 

La pandemia ha ulteriormente acuito questa condizione in quanto un giovane italiano su tre, come rilevato dalle indagini, è convinto che l’emergenza influirà negativamente sul futuro, in particolare quello lavorativo. Emerge una sfiducia crescente nei confronti delle istituzioni (non solo quelle strettamente politiche) che difficilmente potrà essere recuperata finchè i principali attori politici continueranno a non rendersi conto della grave crisi in cui è piombata la classe dirigente della nazione. Non manca più solo la capacità di guidare i processi, ma anche di ispirare speranza e fiducia nel futuro ed è evidente che su questi presupposti il futuro non potrà essere roseo per la nostra comunità nazionale.

Da dove ripartire? 

Un’indicazione possiamo coglierla da ciò in cui giovani hanno più fiducia: volontariato, ricerca scientifica e strutture ospedaliere (sempre dati del rapporto dell’Istituto Toniolo). Al di là dello spettacolo urlante e divisivo che troppo spesso si è riversato sui media, i giovani hanno fiducia proprio in chi durante questa emergenza  è “al fronte” per combattere e vincere la “guerra” contro il coronavirus.

L’auspicio è che tutti coloro impegnati attualmente nelle tre “istituzioni” citate prendano coscienza dell’effettivo ruolo che essi possono avere per la costruzione e la maturazione di una classe dirigente diversa, consapevole ed in grado di elaborare una strategia volta ad affrontare con chiarezza e determinazione le grandi sfide che ci aspettano. 

Il tempo delle divisioni è finito, ma dovremmo lasciarci alle spalle anche finti propositi di coesione “di maniera”. 

Il terzo settore nella sua interezza poichè è presente in tutte e tre le “istituzioni” citate può farsi promotore e interprete di questo principale cambiamento. Può farlo chiedendo alla politica di essere ascoltato e rappresentato seriamente, di evitare il perdersi in conflitti ideologici, nello stimolare la partecipazione giovanile, nel proporre modelli alternativi di sviluppo sostenibile, nel tracciare e praticare nuovi modelli di welfare.

Lo chiedono i giovani e il futuro della nostra comunità nazionale.

Pubblicato su: Servizio Civile Magazine

Più giovani per il Servizio Civile. Così si aumenta il civismo del Paese

La gestione della pandemia non finisce di regalare sorprese. Ben vengano i primi provvedimenti a favore del terzo settore previsti dal “decreto rilancio”, ma pensare ad un bando per reclutare volontari al fine di affidargli compiti di sicurezza e controllo del distanziamento sociale appare quanto meno bizzarro. Lo è nella misura in cui non è possibile confondere il ruolo ed il compito dei volontari così come definiti dalla Riforma del terzo settore all’art. 17 ( Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà) con quelli che dovrebbero essere svolti dalle forze dell’ordine di ogni ordine e grado. 

Risulta davvero incredibile come ancora una volta si manifesti confusione su quello che il terzo settore rappresenti e sicuramente non è attraverso queste iniziative estemporanee che si potrà arrivare a riconoscerne pienamente il ruolo fondamentale di garanzia della coesione sociale e della partecipazione.

Dalle notizie e le indicazioni trapelate, a partire dalle dichiarazioni del Ministro Boccia, si rischia di alimentare ulteriori imprecisioni sul ruolo della Protezione Civile e della sua grande squadra di volontari, i cui risultati riconosciuti positivamente da tutti sono garantiti da lunghi e seri percorsi di addestramento e formazione.

Più che alimentare inutile confusione sul ruolo dei volontari sarebbe il caso che si cominciasse seriamente a superare la fase della retorica e iniziare ad attuare serie politiche di valorizzazione del volontariato e del terzo settore in generale così come richiesto recentemente da tutti i rappresentanti del non profit.

La proposta sugli “assistenti civici” e l’impiego di risorse pubbliche che esso comporterebbe invita anche ad un’ulteriore riflessione: più che alimentare confusioni e polemiche, perché il Governo non si concentra nell’aumentare ulteriormente le risorse per il servizio civile universale, vera e propria “palestra civica” d’impegno e partecipazione per migliaia di giovani italiani. La crisi che stiamo attraversando ha mostrato quanto sia importante il ruolo che il servizio civile svolge quotidianamente per la tenuta sociale e la crescita del Paese. Il Ministro Spadafora ha sicuramente compiuto un primo ed importante passo recuperando recentemente 20 milioni che andranno ad integrare i fondi attualmente disponibili consentendo di avviare nei prossimi mesi progetti che impiegheranno un massimo di 45.000 volontari (10.000 solo in alcune regioni grazie al programma Garanzia Giovani e 35.000 da programma ordinario). 

Il Ministro ha manifestato la volontà di voler fare di più e chiesto sostegno a tutte le forze politiche presenti in Parlamento per cui, invece di scatenare dissidi ed incertezze intorno alle figure di distanziamento sociale ovvero “assistenti civici”, perché non provare ad accorciare le distanze puntando sula crescita della comunità rendendo il servizio civile davvero universale e riconoscendo pienamente al terzo settore nella sua interezza l’importanza che esso ha per la tenuta e lo sviluppo dell’Italia.

Pubblicato su: Servizio Civile Magazine

Partecipazione giovanile: passione, consapevolezza e responsabilità

Sono giornate importanti per la “partecipazione”, non sono poche le manifestazioni e le iniziative promosse per discuterne e favorirla.

Parallelamente si avverte forte l’esigenza di promuoverla tra i giovani al fine di supportarli nel loro percorso d’inclusione nei processi decisionali delle comunità e nel saper cogliere le opportunità di crescita culturale e professionale che le istituzioni offrono a vari livelli.

Molti giovani, grazie soprattutto anche al variegato mondo del terzo settore, raccolgono questa sfida spinti da passione ed entusiasmo, ma sarebbe opportuno riflettere sul ruolo che una classe dirigente degna di questa nome debba svolgere nel confronto con questa realtà.

Non ci si può più sottrarre alla sfida del coinvolgimento dei giovani in percorsi di partecipazione che provino a raggiungere il giusto equilibrio tra passione, consapevolezza e responsabilità.

Queste ultime sono fondamentali per raggiungere risultati durevoli ed in grado di lasciare un segno tangibile nella vita degli attori coinvolti.

Non è più il tempo di limitarsi ad invitare i giovani a partecipare in modo generico o proporre loro opportunità in modo quasi sconnesso dai contesti in cui essi si formano e vivono le proprie esperienze quotidiane.

Occorre, al contrario, offrire loro la possibilità di acquisire consapevolezza del reale ruolo degli strumenti di partecipazione che le istituzioni democratiche hanno saputo elaborare e, conseguentemente, ad avere responsabilità del proprio compito all’interno di tali percorsi spingendoli a lavorare su temi e contenuti adeguati alle diverse situazioni.

Ad esempio: come dovrebbero funzionare i forum comunali?
Quale il loro ruolo reale oltre l’organizzazione di momento ludici?

Non raccogliere tale sfida aumenterebbe il rischio di vedere sprecata (tranne rare eccezioni) la forza vitale della passione giovanile in tante iniziative incapaci di produrre reale cambiamento e partecipazione nella comunità.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

La sfida dei prossimi anni: giovani tra volontariato e fiducia nelle istituzioni

Tra i dati emersi dal rapporto giovani 2019 della Fondazione Toniolo ad attirare particolarmente l’attenzione sono quelli che fotografano il rapporto dei giovani con l’impegno nel volontariato e più in generale la loro partecipazione sociale. Il 60,5 % dei giovani interpellati non ha mai svolto attività di volontariato, percentuale che arriva al 78% tra coloro che non hanno almeno un diploma. Inoltre, solo il 5,7 % dei giovani afferma di essere impegnato in tali attività in modo continuativo. Questi dati ci offrono la possibilità di provare a delineare qualche proposta al fine di creare i presupposti per un futuro diverso del rapporto dei giovani con le istituzioni e del loro coinvolgimento nei processi decisionali.

Nel rapporto Toniolo si evidenzia chiaramente come i giovani, tra tutte le istituzioni, mostrino maggiore fiducia (seppure appena sufficiente) nei confronti della scuola e del volontariato: da questo dato i decisori politici potrebbero avviare un periodo di riforma nei programmi scolastici prevedendo maggiori sinergie con gli enti del terzo settore a partire dalla scuola primaria o dalla scuola secondaria di primo grado.  Tali sinergie dovrebbero essere organizzate per evitare che diventino fortino ideologico di pochi, ma impegno concreto e reale per stimolare nei giovani la maturazione di un pensiero critico che abbia sempre presente l’importanza del sostegno al prossimo. 

Il terzo settore ed il volontariato diventerebbero fonte di apprendimento costante di soft skill da riutilizzare per l’inserimento nel mondo del lavoro o la scelta di percorsi di alta formazione. Il ruolo del volontariato non si esaurirebbe con queste iniziative, ma avvierebbe i giovani alla “partecipazione” con maggiore consapevolezza e fiducia.

Dal rapporto Giovani 2019 risulta chiaro che i giovani impegnati in azioni di partecipazione siano in realtà sfiduciati rispetto al reale impatto che esse possano avere sulla società. Su questo non posso che esprimere un personale giudizio negativo di come siano considerati gli strumenti di partecipazione di cui i giovani potrebbero beneficiare.  Penso ai Forum comunali in cui i giovani sono, nel migliore dei casi, spronati ad essere una bella copia “istituzionale” di associazioni culturali o ricreative.

Non mancano grandi esempi di serietà nati dalla consapevolezza di singoli illuminati (provenienti dai più diversi percorsi formativi e politici), ma non è più concepibile, considerato lo stato in cui siamo, sperare in singole ed isolate avventure di successo.  Sono troppe, infatti, le opportunità non colte in questo ambito: da una reale formazione personale alla possibilità di migliorare i contesti in cui si vive avviando reali percorsi di cittadinanza attiva usufruendo di fondi nazionali ed europei. 

La volontà dei giovani di mettersi al servizio della comunità è un grande potenziale e non dovrebbe essere sprecato. Perché non provare a riorganizzare i percorsi di partecipazione giovanile promuovendo in modo serio anche una formazione sul tema dei decisori politici? Troppo spesso essi sono i primi a non conoscere le grandi possibilità offerte dagli strumenti che si ritrovano ad organizzare e coordinare una volta arrivati ai vertici delle istituzioni. Ne gioverebbero i giovani e ne trarrebbero grande vantaggio proprio le istituzioni il cui compito, oggi, è recuperare la fiducia persa nel corso degli anni soprattutto da parte di coloro che rappresentano, senza tanti giri di parole, realmente il futuro del nostro Paese (in una scala da 1 a 10 la fiducia dei giovani nelle istituzioni politiche è pari al 3.9 %).

Pubblicato su: Servizio Civile Magazine

Coinvolgere i giovani: una sfida per le classi dirigenti

Nel giorno di Ferragosto dalle pagine del Corriere della SeraFrancesco Giavazzi ha invitato la politica alla su cosa davvero, con le proprie scelte, stia lasciando ai giovani e più propriamente ad ascoltare i dieci milioni di giovani che non hanno ancora maturato il diritto di voto.

Potremmo tranquillamente sintetizzare, di là dai singoli e specifici “allarmi” sui debiti che si stanno consegnando alle giovani generazioni, che il prof. Giavazzi con il suo editoriale abbia ancora una volta richiamato la politica e le classi dirigenti a tenere presente che il proprio compito, in nome della responsabilità, non sia pensare cinicamente agli interessi del presente, ma costruire condizioni favorevoli per coloro che verranno.

Sicuramente l’invito all’ascolto non dovrebbe essere lasciato cadere nel vuoto, ma occorrerebbe anche evitare di creare troppe aspettative da questa attività e di consegnare ai minori un carico eccessivo di responsabilità.

Non si può, infatti, ignorare che la strada che ci ha portato ad oggi e a queste considerazioni sia lastricata probabilmente di errori e lacune nei percorsi educativi e formativi offerti ai ragazzi.

Proprio recentemente, la politica, ha iniziato a rispondere a tali problemi riproponendo l’educazione civica nelle scuole e questo, occorre tenerlo a mente, non è avvenuto per caso. Sono numerosi i giovani smarriti senza esempi – culturali ed educativi – che si distinguono quotidianamente per azioni altamente negative (senza che esse arrivino agli onori delle cronache).

La società attuale appare spesso nichilista (le passate ed attuali classi dirigenti hanno offerto in tal senso un contributo molto serio) e ciò non può lasciarci indifferenti. Ma non basta l’ascolto di chi, probabilmente, non è pienamente e veramente consapevole delle condizioni del Paese che vive, per uscirne.

Occorrerebbe una grande visione della comunità che si vuole costruire. Le sfide dell’ambiente ed il debito pensionistico che il prof. Giavazzi richiama sono solo degli aspetti da dover affrontare, ma non possiamo limitarci a questo.

Una grande visione del futuro e della comunità cui tendere non può prescindere dal fatto che a fronte di tanti ragazzi capaci, svegli e preparati c’è una stragrande maggioranza di quei 10 milioni di giovani che ancora non votano (estenderei la considerazione anche a gran parte di chi ha maturato da qualche anno il diritto di voto) che ha bisogno di esempi concreti e strumenti reali di educazione alla partecipazione.

Anche il più recente rapporto sui giovani della Fondazione Toniolo ci consegna una fotografia non positiva delle Giovani generazioni. Soprattutto nell’impegno e nella speranza del futuro.

Inutile cedere alla tentazione di narrazioni mediaticamente ricche di attrattività se vogliamo migliorare questa condizione.

Il tempo perduto lo si recupera con la consapevolezza e l’operatività quotidiana per un cambio di direzione. Facendo riacquistare fiducia da parte dei giovani nelle classi dirigenti (prima tutti i loro appartenenti dovrebbero ricordarsi di onorare il proprio ruolo), ma anche aiutandoli a crescere consapevoli che: la vita è sacrificio e accettazione delle condizioni date per provare a migliorarle, esiste la sconfitta, l’educazione e lo studio sono fondamentali e non inutili accessori del vivere in società, la responsabilità è qualcosa che riguarda tutti e non solo gli altri – siano essi politici o chiunque abbia un ruolo dirigenziale e/o educativo.

Per ultimo aiutandoli ad essere capaci di sognare e coltivare la speranza che non tutto è scritto, ma con le proprie azioni magari non è possibile cambiare il destino del mondo, ma sicuramente quello del contesto, grande o piccolo che sia, in cui vivono.

Ci rendiamo conto che, nonostante le numerose opportunità offerte dalle istituzioni che i giovanissimi potrebbero cogliere (programmi Erasmus, bandi di ogni genere), sono davvero pochi coloro i quali le conoscono e si propongono e ciò, spesso, non è dovuto alla responsabilità della poca comunicazione da parte delle istituzioni o degli enti?
Probabilmente non ne siamo pienamente consapevoli.

Bene stanno facendo ad esempio alcune istituzioni come l’Agenzia Nazionale Giovani a scendere nelle piazze ed interloquire direttamente con i giovani, ma a ben guardare, purtroppo, prendono parte a questa e ad altre campagne ancora ristrette minoranze.

Se guardiamo poi al servizio civile, esperienza di crescita e formazione che potrebbe essere al centro dei nuovi percorsi di cui si parlava, spesso molti enti non ricevono domande di partecipazione tali da soddisfare il numero di posti annualmente disponibili. Ancora una volta non è solo responsabilità delle istituzioni e degli enti attuatori dei progetti.

La vera sfida da vincere è quindi quella di porsi in ascolto dei più giovani, ma offrendo loro gli strumenti e le conoscenze in grado di aiutarli a coltivare e maturare non solo le competenze, ma la capacità di essere responsabili compiutamente dei percorsi e delle scelte della propria vita senza cedere ad alibi, nonostante le difficoltà, nonostante il mondo nichilista che spesso li circonda e che li spinge a fare il contrario perché “tanto alla fine nulla potrà cambiare”.

È una sfida titanica, ma può cominciare ad essere vinta solo se ad essere consapevoli della realtà saremo prima noi adulti.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

Il volontariato per la crescita dei giovani ed il futuro dell’Italia

Dalla società civile si registra sempre più di frequente il segnale della necessità di reintrodurre l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole (l’ultimo esempio: l’iniziativa lanciata lo scorso anno da ANCI con la raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare o la proposta di legge presentata lo scorso 6 dicembre dalla Lega). Sicuramente, se ciò avvenisse in un modo serio, potrebbe essere un’ottima cosa per aiutare le giovani generazioni ad orientarsi alla tutela della comunità ed al rispetto. 

Tuttavia oltre la scuola e le famiglie cui resta la responsabilità principale dell’educazione dei giovani, non bisogna dimenticare il ruolo che il mondo dell’associazionismo può recitare nel completare la formazione dei giovani in un periodo ci si interroga quotidianamente sulla necessità di offrire ai giovani esperienze al passo con i tempi. Percorsi che sappiano far maturare in essi la coscienza di una comune appartenenza e la necessità di un impegno quotidiano condiviso a tutela dei più deboli, della cultura e della coesione sociale nella valorizzazione delle diversità.

Il volontariato, di qualsiasi natura esso sia, aiuta i giovani ad entrare in contatto con lo stare in comunità in vista di un obiettivo condiviso. Un obiettivo che può essere raggiunto solo se gli attori coivolti svolgono il proprio compito rispettando le regole ed i compagni di viaggio.

Non tutti i giovani pensano che “è tutto un magna magna”. In tanti credono che sia importante e possibile impegnarsi in prima persona per migliorare le cose in Italia: il 73,8 % degli intervistati mostrava tale convinzione e il 67,7% presentava una spiccata attitudine al cambiamento (Rapporto giovani 2018, Istituto Toniolo).

Posizioni che confermano anche quanto emerso nel 2014, sempre dai lavori dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, ove a fronte di una platea giovanile molto amplia dichiaratasi totalmente priva di esperienze di volontariato, si è registrata una grande richiesta di partecipazione sociale. 

Il mondo del terzo settore può e deve rispondere a tale richiesta perché il volontariato educa alla dignità del sacrifico, all’importanza del rispetto della parola data e delle disposizioni ricevute in vista dello svolgimento di un compito ed incarna quindi pienamente l’esigenza di partecipazione e crescita sociale.

Tale percorso di crescita personalesi arricchisce con l’apprendimento di conoscenze e competenze che possono risultare più che utili per l’inserimento nel mondo del lavoro. Ed il legislatore se ne è accorto. La recente riforma del Servizio Civile Universale giunta ormai ad attuazione, ad esempio, ha introdotto, dopo anni di confronto in sede europea e nazionale, la certificazione delle competenze acquisite dai giovani nello svolgimento delle attività di volontariato e durante il servizio civile. 

Il mondo del volontariato e dell’impegno civile si candida quindi a recitare un ruolo da protagonista per la crescita delle giovani generazioni italiane e quindi per la costruzione di un futuro migliore per la nostra comunità nazionale.

pubblicato su: Servizio Civile Magazine

Terzo Settore per la crescita: un’opportunità da cogliere

In materia di terzo settore sono due le notizie che segnalerei con maggiore attenzione (in attesa del varo definitivo dei decreti attuativi a completamento della riforma avviata ormai nel lontano 2017): un’intervista al Presidente del CNEL Tiziano Treu e la pubblicazione dei risultati della ricerca di JOB4Good sul lavoratore tipo del terzo settore.
Esse rappresentano due ottimi spunti di partenza per avviare un ragionamento su come il terzo settore sia indubbiamente una grande occasione di crescita per il Paese, ma sia anche la fotografia di quanto – inutile ripeterlo – questa nostra nazione abbia due volti tra Nord e Sud.
Circa le idee espresse dal già Ministro del Lavoro penso sia opportuno fare un’osservazione: nell’intervista il presidente del CNEL si mostra entusiasta di come grazie alla diffusione delle imprese sociali e al loro guadagnare spazio sul mercato del lavoro il no-profit stia influenzando culturalmente il profit portandolo ad un avere una maggiore attenzione ai risvolti sociali delle attività aziendali. Senza dubbio questo è un merito, ma non sarebbe auspicabile focalizzare l’importanza del terzo settore al solo crescere del numero delle imprese sociali e della loro nobilissima mission. Non bisognerebbe dimenticare, infatti, ciò che già qualcuno in altre occasioni ha definito l’anima del terzo settore ovvero lo spirito volontario. Non possiamo ancora una volta porre in secondo piano l’aspetto solidale rispetto a quello del profitto. Anche perché il solo profitto o la sola diffusione di buone pratiche circa l’utilizzo degli utili delle imprese a favore di progetti dall’alto valore sociale non significano necessariamente crescita della comunità nel suo intero.
Esse rappresentano solo una parte delle potenzialità del terzo settore. Non dimentichiamoci che la Riforma del Terzo Settore nacque anche sull’onda l’emotiva tesa a contrastare l’arricchimento e la crescita di alcune conventicole che avevano considerato il mondo non profit un’altra via per arricchirsi, magari celando dietro il volto di solidarietà, obiettivi ben più meschini.
Altre volte si è richiamata l’attenzione su quanto, invece, tutto il variegato universo che costituisce il non profit sia una grande risorsa per il sistema Italia anche per le opportunità che offre in termini di partecipazione e formazione civica di tutta la comunità. Lo è ancor di più in un momento storico che vede arrivare da più parti la richiesta della reintroduzione dell’insegnamento dell’educazione civica: il mondo del volontariato è una grande occasione per i giovani di affrontare esperienze in grado di farli maturare ed entrare a contatto con le regole del vivere la comunità e tutelarla nel loro rispetto.
Tutto questo possono farlo impegnandosi in progetti di servizio civile nei più svariati ed importanti ambiti, dall’ambiente alla cultura passando per l’assistenza ai bisognosi, oppure in tutte quelle iniziative portate avanti in squadre intergenerazionali a favore degli anziani o della promozione della cultura della prevenzione. Senza mai dimenticare il grande lavoro che svolgono gli enti non profit valorizzando in modo positivo i beni confiscati alla criminalità organizzata.
Il terzo settore, così concepito e vissuto, è una grande palestra di cittadinanza in grado di unire le generazioni e soprattutto al Sud, grazie al grande lavoro delle associazioni di volontariato e di promozione sociale ha rappresentato un primo e fondamentale argine alla crisi economica e sociale. Tutto questo, oggi, non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo quando guardiamo al futuro. La stagione post ideologica può liberare energie e proposte oltre ogni steccato in un ambito che per troppo tempo è stato considerato ad appannaggio di una sola parte mentre altre lo guardavano con poco interesse, tranne rari ed importanti casi. Riconosciuta quindi l’importanza delle imprese sociali ed il ruolo che esse svolgeranno ora e nei prossimi anni nello sviluppo dei territori, perché non pensare a misure di sostegno rivolte ad esse ed alle associazioni in materia di lavoro?
Una sorta di rating sulle azioni svolte dagli enti no profit per il quale, ad esempio, i progetti ritenuti più utili alla crescita di un territorio, alla sua coesione sociale, al recupero del patrimonio artistico-culturale, all’assistenza dei più deboli offrono la possibilità agli enti del terzo settore di assumere usufruendo di sgravi sugli oneri contributivi o sulle tasse. Si potrebbe, una volta ultimato il percorso della riforma dal Governo, pensare anche ad un potenziamento della convenienza del sostegno al terzo settore da parte del profit e dei singoli cittadini. Naturalmente, i controlli dovrebbero essere stringenti, ma tali iniziative non farebbero altro che rafforzare la sussidiarietà, la partecipazione dei cittadini e al contempo creare nuove opportunità di lavoro per tutti, non solo per i giovani, specialmente al Sud.

Pubblicato su: Istituzioni24.it

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén